Il deblistering veterinario e umano alla prova dei fatti

La bozza di Decreto legislativo diramata dal Ministero della Salute alle Associazioni di categoria prevede, in attuazione del Regolamento Ue 2019/6, la possibilità per i farmacisti di confezionare direttamente i medicinali veterinari nella quantità più aderenti al piano terapeutico indicato dal veterinario curante.

L’intento della norma è di ridurre sprechi e inquinamento. Il regolamento autorizza il farmacista ad aprire le scatole di medicinali e a consegnare al paziente soltanto quelli necessari per la terapia. Naturalmente dovrà essere inserito il bugiardino in ogni confezione e questo dovrà  essere fornito dal produttore.

Questo nuovo tipo di confezionamento costringerà probabilmente a richiedere una nuova AIC (autorizzazione di immissione in commercio), il che implica certamente un aggravio di costi per il produttore, come osserva (in una intervista a Pharmacy Scanner), il direttore di Aisa-Federchimica, associazione che rappresenta i produttori di farmaci veterinari.

Il punto pare proprio essere la produzione dei foglietti illustrativi in numero sufficiente, è auspicabile che si trovi una soluzione di buon senso.

Il deblistering per i medicinali di uso umano 

Per i medicinali di consumo umano, sono già avviate le esperienze lombarda, veneta ed emiliana. La Lombardia ha adottato linee guida molto dettagliate, lo scorso luglio anche il Lazio ha avviato il percorso e la Liguria pare intenzionata ad aprire un tavolo di lavoro per elaborare un modello operativo (fonte Farmacista 33).

Sull’esempio di quanto avviene in altri paesi, i farmacisti hanno e avranno sempre più la possibilità di confezionare, direttamente nei propri locali, i farmaci prescritti dal medico curante, nella quantità prevista dal piano terapeutico del paziente per un determinato periodo, seguendo scrupolosamente una serie di prescrizioni.

Questa novità presenta indubbi vantaggi:

  • per i pazienti, che riceverebbero esattamente i farmaci di cui hanno bisogno;
  • per l’ambiente, perché i farmaci eccedenti non verrebbero dispersi nell’ambiente.
  • Gli antecedenti legali che consentono alle regioni di adottare una propria disciplina sono numerosi, ma i più significativi sono:
  • la sentenza del Consiglio di Stato (n. 4257/2015 del 14/09/2015), che si è pronunciato favorevolmente sulla possibilità di aprire le confezioni dei medicinali per utilizzarli nei preparati magistrali per casi particolari e permettere al farmacista di sopperire a carenza di materia prima o alla necessita di rendere disponibili medicamenti in forme e dosaggi orfani.
  • La legge di bilancio 2020  che, al comma 462 dell’articolo 1, ha definito la possibilità di «accesso personalizzato ai farmaci», come una modalità attuativa del piano nazionale della cronicità oggetto dell’intesa del 15  settembre  2016  della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province autonome di Trento e di Bolzano.

Le criticità che può incontrare il deblistering

L’opportunità di arrivare al deblistering già sperimentato con successo in numerosi altri paesi, presenta alcune incertezze, non tanto e non solo normative, ma che riguardano profili di sicurezza e logistico-operativi legati alle diverse esigenze che avranno i farmacisti.

Solo per citarne alcune: serviranno scatole più grandi, bugiardini in numero sufficiente da inserire in ogni confezione, norme chiare sulla sicurezza degli ambienti di stoccaggio, controlli sulle scadenze, e molto altro ancora.

Molte di queste novità avranno un diretto impatto sull’aumento dei costi che graveranno sulla filiera produttiva e di distribuzione e finiranno per pesare sul paziente e consumatore finale.

Per non parlare delle questioni, che meritano un approfondimento a parte, relative alla tracciabilità del farmaco, alla sua etichettatura e marcatura anticontraffazione e via dicendo.

Il deblistering è un argomento discusso da molto tempo, tra gli operatori, ma mancano le modalità operative nazionali.

Le criticità più significative e di soluzione incerta sono quelle che riguardano l’armonizzazione delle norme.

Le esperienze regionali consentono di valutare alcuni impatti del fenomeno, ma una proliferazione di norme non coordinate e diverse da regione a regione, non sembra la soluzione più razionale in attesa della entrata in vigore, anche in Italia della Falsified Medicine Directive 2011/62 EU.

È evidente che l’adozione di norme operative per il deblistering non coordinate a livello nazionale influenzerebbero, come è facile immaginare, tanto l’industria di produzione dei farmaci, tanto la supply chain, in un momento, come questo, in cui ancora non è chiara quale sarà la strada tecnica che verrà imboccata per l’adesione alla normativa europea di contrasto alla contraffazione che impongono standard ancora più severi di tracciabilità e standardizzazione.

Dopo l’esperienza della pandemia, non sembra questo lo snodo sul quale testare una autonomia regionale che finirebbe per proliferare fattispecie di conflitto ora inimmaginabili. Più che mai si sente il bisogno (e si auspica), l’adozione di un protocollo quadro nazionale a cui le regioni aderiscano che consenta l’armonizzazione delle norme, a tutela della chiarezza e della certezza del diritto.

FMD e innovazione nella distribuzione farmaceutica

La direttiva su anticontraffazione e tracciabilità (FMD), porta innovazione nella distribuzione farmaceutica

La FMD Falsified Medicines Directive, la direttiva europea (direttiva 2011/62/UE), nata per combattere la contraffazione dei medicinali entrerà in vigore in Italia nel 2025. Ce ne siamo occupati nel Blog dello studio Barillà, in questo articolo. 

Nel 2016 in attuazione della stessa direttiva anticontraffazione è stato istituito l’EVI European Medicines Verification System. Si tratta di un network europeo che riunisce aziende farmaceutiche, società di distribuzione, farmacie ospedaliere e dispensari di farmaci. Al network è affidata la gestione dell’infrastruttura destinata a conservare e trattare i dati identificativi dei singoli farmaci, dalla produzione, alla circolazione sul mercato fino alla fine del loro ciclo vitale.  

L’operatività del nuovo sistema di tracciamento, riguarda due differenti ambiti:  

  • la compliance normativa e 
  • l’innovazione industriale.  

La FMD impone che i prodotti farmaceutici vengano tracciati in modo più preciso. Per questa ragione produttori e distributori dovranno garantire la corretta individuazione del farmaco e il controllo della sua circolazione fino al consumatore finale.  

 

Le device contro la contraffazione dei farmaci, in sintesi 

Questo obiettivo si raggiunge con l’applicazione di un nuovo regolamento che prevede interventi sul packaging dei medicinali e l’adozione di misure definite safety feature, come quella di applicare un identificativo univoco per il singolo pezzo, oltre a dispositivi anti-manomissione, definiti anti-tampering device 

In pratica l’industria dovrà fornire ai gestori dei dati un codice prodotto, un numero seriale, un numero di lotto, la data di scadenza e questi andranno memorizzati in un codice (DataMatrix 2D GS1).  

A questi dati si aggiunge un ulteriore elemento sulla confezione che deve contenere i dati legali specifici richiesti da ciascuno Stato membro dell’Unione europea, che possono essere legati a servizi come, ad esempio, il codice nazionale necessario per ottenere il rimborso del costo di un farmaco nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale.  

La tracciabilità e la serializzazione sono processi avviati dalla FMD che consentiranno, nelle intenzioni del legislatore, di raggiungere quattro obiettivi dichiarati: 

  • la verifica del farmaco 
  • la conformità agli standard 
  • la sicurezza della sua circolazione 
  • l’aggregazione dei dati nazionali e comunitari. 

 

Gli organismi previsti dalla FMD per l’anticontraffazione dei farmaci 

Il nostro paese gode di una proroga per l’entrata in vigore della FMD, nata dal riconoscimento che la filiera distributiva farmaceutica italiana ha già adottato delle linee guida e degli standard di controllo molto elevati, sostanzialmente già conformi alle buone pratiche europee. 

Per prepararsi all’avviamento dell’EVI European Medicines Verification System e alla FMD Falsifed Medicines Directive FMD l’industria farmaceutica dei singoli paesi sta attivando gli organismi previsti dalla normativa. Per questo procede con la costituzione dei NMVO National Medicines Verification Organization.  Anche questi sono consorzi di livello nazionale che hanno il compito di gestire l’archivio nazionale dei codici che andrà integrato nella piattaforma europea gestita da tutti i sistemi nazionali. 

Lo Studio legale Barillà alla cena di gala di Credit News

L’avvocato Samuele Barillá, con l’avvocato Andrea Facchini, parteciperà il prossimo 10 marzo 2023, a Milano presso l’hotel Melià alla cena di gala organizzata da Credit News. Verranno consegnati premi che saranno ai migliori player del settore della gestione recupero dei crediti.

Lo Studio Legale Barillá è stato invitato per portare testimonianza della attività di recupero dei crediti farmaceutici che costituisce una specificità poco diffusa e poco conosciuta.

L’avvocato Samuele Barillà si occupa di diritto farmaceutico da oltre vent’anni. Con particolare attenzione al profilo regolamentare e societario, oltre che al rapporto con il Servizio Sanitario Nazionale (SSN).

La gestione del credito nel settore farmaceutico e nella sanità pubblica è estremamente complessa. Per questo rappresenta una sfida per tutti i player coinvolti nella catena di fornitura dei farmaci e dei servizi di prossimità. In particolare, i ritardi nei pagamenti da parte delle ASL verso le farmacie possono avere effetti significativi sulla sostenibilità finanziaria degli operatori e sul loro rapporto con gli intermediari finanziari.

Su questo tema l’avvocato Samuele Barillá aveva rilasciato un’intervista di approfondimento a Credit News, rivista specializzata nel settore del credit management. In questo contributo l’avvocato Barillà approfondisce le peculiarità del recupero crediti nel settore farmaceutico.
Il tema sarà oggetto di un evento dedicato nell’ambito della fiera del credito che si terrà a Milano il prossimo mese di giugno 2023.

Di seguito riportiamo un estratto dell’intervista rilasciata a CreditNews.

Crediti nel settore farmaceutico, quando a essere in ritardo nei pagamenti è l’ASL

«Avvocato Barillà, lei si occupa di diritto farmaceutico da sempre, come ha visto cambiare questo settore in termini di contenzioso tra farmacie e SSN, ruolo degli intermediari nella gestione finanziaria del credito e criticità che si riversano sull’anello intermedio della filiera dei farmaci, cioè quello del grossista / distributore?»

Abbiamo assistito, nel tempo a varie fasi: una prima cronicizzazione dei ritardi nella liquidazione dei crediti vantati dalle farmacie nei riguardi delle ASL che poi si è sostanzialmente risolta.
Vado a memoria, ma mi pare che il ritardo sia passato dai 720 giorni di qualche anno fa, a lassi di tempo decisamente più brevi, anche se il dato non è omogeneo tra le regioni. C’è da dire che questo dipende anche da come si calcola il tempo medio, se dal mese o dall’anno di maturazione.
Oggi si parla di una media di 66 giorni nelle regioni del nord, che aumentano significativamente nel Mezzogiorno.


L’intervista completa è fruibile cliccando qui.

Tempo e temperatura,
le due variabili che pesano
nella catena di distribuzione
del farmaco

In tema di distribuzione del farmaco, il Consiglio europeo e il Parlamento europeo adottando la direttiva sui Falsified Medicines Directive (direttiva 2011/62/UE) pubblicata il 1° luglio 2011 e in vigore dal 2 gennaio 2013 hanno introdotto misure europee armonizzate.

Le norme, pensate per combattere la contraffazione dei medicinali e garantire sicurezza e distribuzione rigorosamente controllata, non sono ancora state adottate dal nostro Paese che si giova di una proroga concessa fino al 2025.

La proroga nasce dal riconoscimento che la supply chain farmaceutica italiana era in grado di garantire già da prima della approvazione delle guidelines, standard molto elevati di controllo, che rispettano la sostanza delle  buone pratiche europee di distribuzione dei medicinali per uso umano.

La proroga della ratifica della direttiva europea in tema di distribuzione del farmaco

Il nuovo termine però, hanno osservato alcuni esperti non è necessariamente un vantaggio.

L’industria farmaceutica nazionale esporta almeno il 70% della produzione e le aziende oggi sono tenute a confezionare i farmaci secondo due diversi metodi che corrispondono ad altrettanti cicli produttivi.

La ragione è che i bollini adesivi per il rispetto delle norme sulla distribuzione domestica arrivano dall’Istituto Poligrafico dello Stato, mentre i codici Datamatrix – essenziali per la circolazione dei farmaci in EU sono stampati sulla confezioni e non possono essere rimossi.

Molti hanno visto nella delocalizzazione della produzione una soluzione, con le conseguenze di impoverimento del settore che è facile intuire.

Quello che spaventa le aziende infatti sono gli investimenti necessari per garantire la piena compliance alle nuove norme in un momento in cui il comparto distributivo è già in grande sofferenza per numerose ragioni che coinvolgono logistica, costi del carburante, carenza di personale qualificato e altro ancora.

Se alla serializzazione si aggiunge la necessità, che riguarda una parte consistente dei farmaci distribuiti nel nostro paese, di rispettare la catena del freddo, è comprensibile l’affanno in cui si trovano i distributori, piccoli, grandi, organizzati o autonomi che siano.

L’osservatorio Contract Logistics “Gino Marchet” della School of Management del  Politecnico di Milano ha calcolato che il 31% delle spedizioni di farmaci nel 2021 ha riguardato quei medicinali che vanno conservati a temperature tra i 2 e gli 8 gradi centigradi e il trend che li riguarda è in continua crescita, a causa delle nuove tecnologie che ne consentono la produzione.

 

La distribuzione del farmaco e la catena del freddo

La catena del freddo impone ai distributori di investire per rispondere a tutte le esigenze legate a confezionamento e trasporto:

  • idoneità delle confezioni;
  • utilizzo di apparecchiature omologate;
  • imballaggi termici;
  • veicoli a temperatura controllata e con coibentazione adeguata;
  • apparecchiature per il monitoraggio delle temperatura costantemente manutenute e tarate anche per il calcolo delle variazioni stagionali.

Tutto questo, poi, va gestito da personale qualificato e adeguatamente formato.

Inevitabile dunque che le associazioni di categoria si esprimano con preoccupazione rispetto all’adeguamento alle normative che stanno per entrare in vigore: lo scenario è complesso e le prospettive tutt’altro che chiare.

 

A cura dell’avvocato Samuele Barillà

La distribuzione di farmaci e la grande distribuzione, una polemica infondata

La polemica sulla capacità (o meno) delle imprese della distribuzione dei farmaci di negoziare i prezzi e limitare così i gli aumenti imposti dall’industria farmaceutica ha decisamente preso piede.

Aperta da Nino Faiella, direttore dela catena di parafarmacie Medi-Market, la polemica si centrava sul paragone con le policy adottate nella grande distribuzione, dove, grazie a personale con competenze necessarie dedicate agli acquisti per intere catene di punti vendita, i distributori intervengono nella determinazione del prezzo finale al consumo di numerosi prodotti e brand.

Erika Mallarini, docente alla SDA Bocconi, interpellata dalla stampa specializzata su questo tema, ha rincarato la dose aggiungendo che i distributori hanno anche la facoltà di ridurre i propri margini perché il mercato è liberalizzato dal 2010.

I distributori, dice la professoressa, non fanno acquisti, fanno logistica e non hanno direzioni acquisti organizzate o competenti per affrontare la negoziazione con l’industria.

Questa mancanza di cultura organizzativa riguarda anche i sistemi informativi e le figure specializzate e qualificate nel ramo acquisti.
Il consiglio al comparto è quello di modificare quasi radicalmente il modello di business: non più impegnarsi ad avere tutto per rispondere alle richieste, ma anzi specializzarsi per trattare sui prezzi di acquisto direttamente con i brand produttori.

 

Una voce in controtendenza, la capacità negoziale della centrale acquisti

A  queste voci si è aggiunta quella, finalmente in controtendenza, di Luisella Grugni, direttore acquisti di CEF e componente del Comitato tecnico nazionale, la centrale acquisti lanciata da Cef, Farla, Farmacenro e Unifarm.

Le obiezioni, pertinenti e specifiche riguardano in massima parte le tecniche negoziali adottate da questo network e si riverberano soprattutto sulle farmacie affiliate o di proprietà che possono beneficiare di scontistica e premialità negoziata per loro a livello centrale.

Ma questa opinione, indirettamente, dà voce anche al grande mondo delle farmacie indipendenti (circa 19 mila), che gestiscono acquisti e vendite, compresa la determinazione del prezzo entro i limiti di variazione, in maniera del tutto autonoma.

 

Le differenze tra distribuzione di farmaci e grande distribuzione

Quello che manca al dibattito però è il punto di vista dei distributori indipendenti, accusati di non avere competenze oltre che di disinteressarsi dell’impatto che gli aumenti avranno sul consumatore finale.

Se è in parte vero che questi “fanno logistica”, nel senso di gestire prevalentemente stoccaggi e trasporti, come sostenuto, è anche vero che fanno acquisti e devono rispondere a logiche che sono del tutto diverse da quelle della grande distribuzione con la quale li si vuole paragonare.

Un esempio quantomai attuale è offerto dalla questione della carenza di farmaci di cui si sta parlando in queste settimane, ai maggiori livelli decisionali del settore.

I prodotti offerti dall’industria farmaceutica non sono fungibili. Lo dimostra il ricorso ai farmaci generici che resta marginale, nonostante le aspettative ai tempi della sua introduzione.

L’infungibilità del prodotto toglie frecce alla faretra di qualunque negoziatore. Non si tratta di mozzarelle o di prodotti da forno, ma di medicinali e questo rende il consumatore particolarmente interessato alla loro reperibilità e soprattutto alla tempestività della distribuzione.

Questo non trascurabile aspetto dell’attività logistica dei distributori del prodotto farmaceutico, li vincola a gestire i rapporti con i produttori avendo meno margini di manovra.

I farmacisti peraltro, che rappresentano i “punti vendita” e sono, come già rilevato, in grandissima parte indipendenti e autonomi, non stanno dalla loro stessa parte, ma spesso si pongono in contrasto.

Hanno infatti la legittima pretesa di trovare assortimento e, appunto, riscontri tempestivi agli ordini, oltre che efficacia nella consegna.

È appena il caso di aggiungere, che i punti vendita di cui si parla non sempre sono nel pieno centro di una grande città o ben distribuiti sulla sua cintura dentro a centri commerciali, ma, molto più di frequente, nell’unica farmacia di un remoto distretto di una piccola provincia.

Le facoltà di gestione delle farmacie sul territorio comunale

È sempre attuale il tema della distribuzione territoriale delle farmacie comunali, così come quello della loro gestione, sia essa in-house o meno, da parte degli enti.

Il Consiglio di Stato si è recentemente occupato in particolare della discrezionalità dei Comuni nella revisione della pianta organica sul territorio di loro competenza.

La sentenza n. 687 del 30/3/2022 ha affrontato e definito alcuni aspetti significativi, relativi al potere di pianificazione e alla discrezionalità esercitata dall’ente.

 

Il potere discrezionale del Comune nella collocazione di nuove farmacie

Il primo principio afferma che la revisione della pianta organica e quindi l’apertura di una nuova farmacia e la sua collocazione, sono atti generali di pianificazione che rientrano a pieno titolo tra i poteri dell’ente.

Il Comune, infatti, è tenuto a garantire al cittadino il miglior assetto e la migliore accessibilità dell’assistenza farmaceutica sul territorio comunale.

La scelta della localizzazione di una nuova farmacia deve rispettare due criteri:

  • quello demografico;
  • quello della distanza minima;

ma per il resto è piuttosto discrezionale.

Se il Comune utilizza criteri ragionevoli e logici e non incorre in arbitri o abusi di potere, che renderebbero impugnabile la identificazione della location, ha un margine piuttosto ampio per decidere dove autorizzare le aperture sul suo territorio.

La legge statale infatti attribuisce ai Comuni il compito di individuare le zone in cui collocare le nuove farmacie. Questa facoltà tiene conto dell’esigenza di garantire un assetto omogeneo del territorio che corrisponda ai veri bisogni della collettività e tenga conto di fattori diversi che emergono dalla valutazione della distribuzione dei residenti, ma anche delle situazioni ambientali, topografiche e di viabilità, oltre che della distanza dalle altre farmacie.

 

La gestione diretta o in-house delle farmacie sul territorio comunale o la gara per la gestione di terzi

Il secondo principio affrontato dalla sentenza riguarda invece lo strumento di governance che il Comune può utilizzare per l’esercizio dell’attività di farmacia:

  • quello diretto (legge 475/1968) anche attraverso una società di capitali a partecipazione totalitaria pubblica;
  • o quello concessorio, affidandone cioè la gestione a soggetti estranei all’ente dopo aver espletato una gara pubblica.

L’assenza di una norma che consenta espressamente al Comune di bandire una gara per la gestione di una farmacia comunale non è considerata un ostacolo a che questo avvenga.

È sufficiente considerare che questa modalità è quella utilizzata regolarmente per la gestione di servizi pubblici di cui l’ente non intenda (o non possa), farsi carico direttamente.

Dovranno essere stabilite correttamente le regole di gara e in particolare gli obblighi di servizio pubblico da imporre al concessionario.

Il Comune, infatti, dovrà essere in grado di esercitare un controllo costante sull’attività del gestore per garantire standard adeguati di tutela dei cittadini. Una procedura così concepita non contrasta in alcun modo con la normativa e i principi comunitari.

 

Avvocato Samuele Barillà

Farmacie rurali tra criterio topografico e interesse delle comunità

Si parla tanto di migliorare i servizi sanitari e farmaceutici di prossimità, tra cui rientrano le farmacie rurali, anche nell’ottica di raggiungere gli obiettivi fissati dal PNRR. Nella pratica, però, per molti operatori, prevalgono i timori di vedersi intaccato il bacino d’utenza.

(Di questo abbiamo già parlato in questo blog: clicca qui e qui per leggere.

L’apertura di nuove farmacie nelle aree rurali

La distribuzione dei farmaci nelle aree rurali, spesso disagiate e remote a causa di collegamenti viari inadatti alla vita moderna, è un problema. Le necessità di ripensare alla medicina territoriale e di dotarla di risorse sono diventate vere e proprie emergenze.

Forse è per questo che la Giurisprudenza amministrativa (nel solco già tracciato da numerosi precedenti), ha deciso che l’interpretazione delle norme che limitano l’apertura di nuove farmacie nelle aree rurali va utilizzata in senso estensivo.

Il TAR Abruzzo ha espressamente riconosciuto il valore preminente all’interesse pubblico di assicurare la massima diffusione del servizio farmaceutico anche in zone svantaggiate, rispetto a quello che ha definito «l’interesse protezionistico delle farmacie precedentemente insediate». (Sentenza n. 370/2022)

Nel caso di cui si è occupato il Tribunale amministrativo della Regione Abruzzo, il problema stava in 600 metri di (mancata), distanza tra due farmacie esistenti, la prima già avviata nel centro del piccolo insediamento rurale, la seconda di recente apertura, a 2.400 metri, in prossimità di una frazione mal servita dai collegamenti.

Normativa e interessi tutelati per l’apertura di farmacie rurali

Le leggi applicabili alla materia sono:

I criteri generali che regolano la distribuzione delle farmacie sul territorio sono:

  • quello topografico;
  • quello demografico.

Anche la classificazione delle farmacie è distinta in due diverse categorie:

  • farmacie urbane, situate nei comuni o centri abitati con popolazione superiore a 5.000 abitanti;
  • farmacie rurali situate in comuni, frazioni o centri abitati con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti.

La prima norma citata dispone che possano essere autorizzate aperture di una nuova farmacia ogni 3.300 abitanti. La seconda norma prevede una deroga alla prima. Quando particolari condizioni topografiche e di viabilità lo richiedano, Le Regioni possono infatti stabilire deroghe ai limiti che siano congrue per assicurare l’assistenza farmaceutica alla popolazione. La procedura prevede che siano sentiti l’unità sanitaria locale e l’ordine provinciale dei farmacisti competenti per territorio.

 

La Giurisprudenza anche comunitaria sull’apertura di farmacie rurali

Il Tribunale amministrativo ricorda che gli interessi da valutare nella interpretazione delle norme sono differenti e che la finalità di assicurare un’equa distribuzione delle farmacie sul territorio consente di considerare flessibile il limite dei 3 km.

Le autorità devono tenere conto della distribuzione dei residenti in aree scarsamente abitate o penalizzate da orografia e viabilità.

Il Tar ha letteralmente dichiarato: «Le farmacie rurali, istituite sulla base del criterio topografico […] possono essere istituite anche ad una distanza inferiore a 3000 metri rispetto alla farmacie esistenti, sulla base di una attenta valutazione da effettuare in relazione alla singola fattispecie concreta».

Questo approccio interpretativo trova sponda anche nella normativa e nella giurisprudenza europea.
La Corte di Giustizia UE ha avuto infatti occasione di affermare che per assicurare un servizio farmaceutico adeguato, le autorità competenti possono fornire interpretazioni della regola generale, ogni volta che la sua rigida applicazione rischi di non garantire un accesso adeguato al servizio farmaceutico. Il riferimento è alla sentenza della Corte di Giustizia CE n. 570 del 1 giugno 2010, nella causa C570/07.

Gli studi sulla liberalizzazione delle farmacie confermano i dubbi

Lo studio di Banca d’Italia «Liberalizing the opening of new pharmacies and hospitalizations», condotto da Andrea Cintolesi e Andrea Riganti è molto interessante e contiene tutti gli elementi per innescare una discussione profonda e scuotere il mondo della distribuzione dei farmaci.

Il ruolo delle farmacie nella prevenzione dei ricoveri

L’ipotesi di studio è che i ricoveri meno gravi possano essere prevenuti o abbreviati dall’accesso alle farmacie.

Si parla dei ricoveri in ospedale trattati essenzialmente con farmaci che, se condotti all’attenzione anticipata del farmacista, possono essere evitati e correttamente instradati a domicilio, con un significativo risparmio per la collettività sulla spesa sanitaria complessiva.

Ipotesi: la liberalizzazione delle farmacie riduce i ricoveri in ospedale

I ricercatori traggono dall’analisi dei dati alcune importanti informazioni. Tra queste, la constatazione che il consumo di farmaci non sia aumentato quando il Decreto legge 24/1/2012, noto come «Cresci Italia» ha consentito l’apertura di nuove farmacie.

L’ipotesi suggerita è che le farmacie contribuiscano a ridurre i ricoveri perché svolgono il ruolo di fornire informazione ai pazienti. Le farmacie, in particolare, possono avere diversi impatti sui pazienti che si rivolgono a loro al comparire di sintomi:

  • l’effetto informativo
    Rivolgersi alla farmacia può suggerire ad alcuni pazienti che non ne avevano l’intenzione, di recarsi in ospedale.Altri potrebbero essere indotti a non farlo, come stavano pianificando.
  • L’effetto sostituzione
    Succede che alcuni pazienti decidono di andare in farmacia prima di andare in ospedale, come farebbero altrimenti, ma poi rinunciano al ricovero grazie ai servizi ricevuti in farmacia.
  • L’effetto prevenzione
    Le farmacie possono fornire prontamente farmaci e consigli per malattie molto lievi ai pazienti che altrimenti avrebbero aspettato. La prevenzione del peggioramento delle loro condizioni scoraggia così futuri costosi ricoveri.

Le farmacie apportano indubbi vantaggi alla gestione dei pazienti e possono limitare le ospedalizzazioni, ma quello che preoccupa questo mondo è il sillogismo che fa dipendere da questo beneficio la liberalizzazione delle aperture.

La conclusione dello studio, neanche troppo sottintesa, è che la liberalizzazione delle farmacie rappresenti un forte incentivo alla massimizzazione dei benefici appena ricordati.

Questa costruzione logica però va dimostrata.

 La liberalizzazione delle farmacie riduce il prezzo dei farmaci?

Può aiutare a rispondere, un altro studio molto interessante, che ha affrontato il tema delle ricadute sul sistema sanitario della liberalizzazione delle farmacie.
Si tratta del conference paper: «Liberalization in the pharmacy sector» di Sabine Vogler.

La ricerca, estesa ai principali paesi europei, arriva ad alcune conclusioni che meritano attenzione.

La liberalizzazione della farmacia, nella definizione offerta dalla ricerca, comprende una o più delle seguenti componenti:

  • liberalizzazione delle regole per la creazione di nuove farmacie;
  • liberalizzazione della proprietà delle farmacie;
  • liberalizzazione della vendita dei farmaci OTC al di fuori delle farmacie.

Tutti questi temi sono molto delicati, una volta calati nel mercato italiano.

La sintesi delle conclusioni a cui la ricerca arriva grazie alla raccolta di numerosi dati che riguardano altrettanti paesi, è che la liberalizzazione delle farmacie non abbia effetti univoci.

La liberalizzazione delle farmacie e gli aspetti problematici

La ricerca evidenzia, tra i principali problemi individuati, che la liberalizzazione favorisce le popolazioni urbane che già godono di una buona accessibilità alle farmacie.

Raramente, infatti, le nuove farmacie e gli ulteriori dispensari vengono istituiti fuori dalle aree urbane, quindi, non cambiano la situazione delle aree rurali e remote, anzi, aumentano il divario tra le due popolazioni di pazienti.

Un ulteriore effetto negativo è la comparsa di fenomeni di distorsione della concorrenza.

Uno di questi è la concentrazione delle farmacie nelle mani di pochi player del mercato della distribuzione, che possono dare vita a catene fortemente integrate.

Questo fenomeno aumenta la possibilità di carenze nella disponibilità dei prodotti che vengono richiesti meno frequentemente.

Con obiettività, infine, la ricerca arriva a escludere che la liberalizzazione delle farmacie abbia, in sé, la facoltà di ridurre sensibilmente i prezzi dei farmaci, ma sottolinea i contenuti delle due tesi contrapposte.

Da una parte, i sostenitori della liberalizzazione dell’apertura delle farmacie sono certi che l’aumento della concorrenza porti a una migliore accessibilità.

Dall’altra, invece, i sostenitori del mercato regolato, esprimono preoccupazione per il possibile declino della qualità dei servizi farmaceutici.

 

Avvocato Samuele Barillà

L’intervista all’avvocato Samuele Barillà su CreditNews

L’intervista all’avvocato Samuele Barillà su CreditNews, rivista specializzata nel settore del credit management si concentra sulle peculiarità del recupero crediti nel settore farmaceutico, tanto sotto il profilo dei rimborsi del SSN ai farmacisti, quanto dei rapporti non sempre lineari con i distributori di farmaci.


I crediti nel settore farmaceutico, una nicchia di forte interesse

La gestione del credito si rivela estremamente complessa anche quando riguarda il settore farmaceutico e la sanità pubblica. Abbiamo approfondito gli effetti dei ritardi nella liquidazione dei crediti vantati dalle farmacie nei riguardi delle ASL con l’avvocato Samuele Barillà, fondatore dello Studio Legale Barillà.

Crediti nel settore farmaceutico, quando a essere in ritardo nei pagamenti è l’ASL

In un periodo in cui l’attenzione alla salute ha raggiunto livelli altissimi a causa della emergenza pandemica da Covid19 col settore della produzione farmaceutica che ha visto fiorire il proprio business, il sistema di distribuzione dei farmaci e i servizi di prossimità sono stati sottoposti ad un eccezionale stress test che ha evidenziato alcune carenze e modificato modelli di business consolidati.

In questo scenario è interessante approfondire le criticità legate al credito che possono colpire i vari player del settore (farmacisti, grossisti e distributori), diversamente coinvolti negli aspetti finanziari relativi ai crediti vantati verso il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), nella sua declinazione territoriale delle ASL. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Samuele Barillà, fondatore dello Studio Legale Barillà di Bologna che dal 1997 si occupa quasi esclusivamente di diritto farmaceutico, sotto il profilo regolamentare e societario, oltre che del rapporto con il Servizio Sanitario Nazionale.

Avvocato Barillà, lei si occupa di diritto farmaceutico da sempre, come ha visto cambiare questo settore in termini di contenzioso tra farmacie e SSN, ruolo degli intermediari nella gestione finanziaria del credito e criticità che si riversano sull’anello intermedio della filiera dei farmaci, cioè quello del grossista / distributore?

Abbiamo assistito, nel tempo a varie fasi: una prima cronicizzazione dei ritardi nella liquidazione dei crediti vantati dalle farmacie nei riguardi delle ASL che poi si è sostanzialmente risolta.

Vado a memoria, ma mi pare che il ritardo sia passato dai 720 giorni di qualche anno fa, a lassi di tempo decisamente più brevi, anche se il dato non è omogeneo tra le regioni. C’è da dire che questo dipende anche da come si calcola il tempo medio, se dal mese o dall’anno di maturazione.
Oggi si parla di una media di 66 giorni nelle regioni del nord, che aumentano significativamente nel Mezzogiorno.

Un altro fenomeno tipico degli anni scorsi si è di pari passo ridimensionato, quello della finanziarizzazione del credito.
Le farmacie erano in difficoltà nell’ottenere i crediti e si era creato un ampio spazio per le società finanziarie che acquistavano i crediti pro-solvendo e di fatto finanziavano l’attività ordinaria delle farmacie, trattenendo una quota come fee.
La perdita di controllo della situazione finanziaria e delle proprie entrate si accavallava però alla gestione delle dilazioni di pagamento verso i fornitori e in molti casi si creavano problemi di liquidità significativi e proporzionali al giro d’affari complessivo delle farmacie.


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La nuova medicina di prossimità alla prova dei fatti, tra nuovi vaccini e vecchi dispensari

Mentre le Regioni si attivano per utilizzare i fondi del PNRR per la medicina di prossimità, si apre la campagna vaccinale contro l’influenza e si assiste al crescente interesse da parte dei farmacisti a partecipare attivamente alla loro somministrazione.

I farmacisti vaccinatori avvicinano la medicina al territorio

Secondo i dati forniti alla stampa dall’Istituto superiore di sanità e dalla Federazione degli ordini dei farmacisti italiani (Fofi), sono infatti quasi 20 mila quelli che hanno completato il ciclo formativo per farmacisti vaccinatori.

L’esperienza della pandemia ha portato alla consapevolezza di quanto sia necessario realizzare compiutamente la rete di medicina territoriale o di prossimità, diventata anche uno degli obiettivi dei finanziamenti del PNRR.

Sono numerosi i segnali che vanno in direzione di un cambiamento di parametri del mercato farmaceutico, tra questi i nuovi modelli di presa in carico del paziente, la gestione integrata la spinta alla digitalizzazione e allo sviluppo della telemedicina.

Tutta la filiera è coinvolta nel cambiamento: l’ospedale, i medici di famiglia, la farmacia territoriale, i distributori di farmaci e le associazioni dei pazienti.

Lo sviluppo territoriale  e l’autonomia amministrativa locale devono coesistere

Alcuni osservatori notano che il disallineamento tra realtà e normativa sulla convenzione farmaceutica, ma anche l’approccio autonomistico regionale e locale al tema della salute, continuano a creare disparità tra gli strumenti competitivi a disposizione delle farmacie pubbliche e di quelle indipendenti, ma potremmo aggiungere anche delle altre strutture di servizio, come i dispensari.

Gli auspici di tutti i rappresentanti delle categorie interessate, espressi nelle numerose occasioni di confronto di queste ultime settimane, sono rivolti verso modifiche normative di attuazione dei piani che consentano alle farmacie di resistere e prosperare.

In certi casi però è stato necessario l’intervento della magistratura per fornire una interpretazione delle norme esistenti o addirittura, per ristabilire norme di buon senso.

 

Il dispensario stagionale, primo antesignano della farmacia territoriale

Vale la pena ricordare cosa sia il dispensario farmaceutico:

  • è una struttura destinata alla distribuzione di medicinali di uso comune e di pronto soccorso già confezionati;
  • quello territoriale è istituito per garantire l’assistenza farmaceutica minima alla popolazione quando non c’è o non è attivata una farmacia nella pianta organica di quel territorio;
  • quello annuale può essere istituito nei comuni o nei centri abitati che abbiano fino a 5000 abitanti e va affidato al titolare di una farmacia, privata o pubblica;
  • il dispensario stagionale è invece istituito nelle località di interesse turistico che abbiano una popolazione non superiore ai 12.500 abitanti ed è pensato per rispondere alle esigenze legate al picco di presenze di pazienti e utenti dei servizi.

L’apertura di nuove farmacie a meno di un kilometro da un dispensario, in una zona interessata da un aumento molto significativo di presenze stagionali, non è di per sé una buona ragione per sopprimere un dispensario stagionale. Quantomeno non costituisce un automatismo.

Questo concetto -che lascia spazio ad una certa autonomia e discrezionalità dell’autorità amministrativa locale, è stato ribadito con la recente decisione del TAR Emilia Romagna n. 744 del 2022 sulla chiusura di un dispensario nel riminese.

 

Dispensario e farmacia, due concetti differenti

Il caso ha fornito al Tribunale l’opportunità di ribadire il concetto che le due strutture sono differenti.

Il dispensario infatti «non può essere assimilato alla farmacia, trattandosi di un mero presidio sul territorio al servizio dei cittadini che non è in grado di competere con le farmacie né di costituire una struttura autonoma essendo gestito, di norma, dalla sede farmaceutica più vicina di cui è parte integrante».

Nel caso particolare di cui si è occupato il TAR si è discusso del criterio di calcolo della distanza dal centro per l’assegnazione della gestione del dispensario e di una differenza di 40 metri che avrebbe favorito un farmacista rispetto ad un altro.

Il conflitto sembra surreale mentre, da una parte, si cerca di ripensare le modalità di ingresso alle professioni mediche e paramediche nel Servizio Sanitario Nazionale e dall’altra, ci si attiva per spendere in maniera proficua i cospicui fondi destinati dal PNRR agli obiettivi di rafforzamento della medicina di prossimità.

Samuele Barillà