La presentazione dell’edizione 2024 dell’Osservatorio di Nomisma ed Equalia sull’industria dei farmaci equivalenti propone una serie di riflessioni di scenario sul mercato dei medicinali generici in Italia.
Per l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), il farmaco equivalente ha «principio attivo, forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio, dosaggio, numero di unità posologiche e dosi unitarie uguali a un farmaco di riferimento a cui è scaduta la copertura brevettuale».
La definizione, per i farmaci con obbligo di ricetta medica, è stata introdotta in Italia con la legge 149 del 2005. La norma prescrive che sulla confezione esterna e sul bugiardino sia marcato “Medicinale Equivalente”.
I farmaci equivalenti e i farmaci generici sono la stessa cosa, al momento di ricevere l’autorizzazione per l’immissione in commercio, il ministero ne certifica la bioequivalenza. Il farmaco biosimilare invece non è identico al farmaco originale brevettato, ma è altamente simile per composizione e dosaggio a quello originale. Un farmaco equivalente non può essere messo in commercio se il brevetto del medicinale di marca non è ancora scaduto.
La sofferenza delle industrie produttrici di farmaci equivalenti
La concorrenza nel settore di produzione farmaceutica dei medicinali equivalenti è in progressiva regressione (-10% di aziende per effetto di chiusure e fusioni, secondo Unioncamere).
Le imprese sono sofferenti per l’erosione dei propri margini di profitto dovuta prevalentemente all’aumento generalizzato dei prezzi che ha riguardato:
- I costi di produzione (energia, materie prime, materiali per il packaging, costo del lavoro);
- gli oneri regolatori (aumento delle spese per pratiche di registrazione e autorizzazione alla vendita);
- i prezzi ex factory, ovvero quelli imposti al farmaco prima del calcolo dei costi di distribuzione, che sono stabiliti unilateralmente da AIFA;
- il massimo ribasso come criterio di aggiudicazione nelle gare pubbliche per l’approvvigionamento.
I medicinali generici come risposta alla carenza di farmaci
Il problema della carenza di farmaci (di cui abbiamo già parlato in un articolo di questo blog), ha raggiunto livelli importanti in tutto il mondo, ma l’Italia è uno dei paesi che ne soffre maggiormente.
Negli ultimi cinque anni, secondo l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), il numero di farmaci a rischio carenza nel nostro Paese, è passato da circa 1.600 a oltre 3.700. Il 44% delle carenze registrate nel 2024 è dovuta alla cessazione definitiva della commercializzazione, una metà del rimanente è legata a problemi di produzione, spesso derivanti dalla difficoltà di reperire il principio attivo prodotto da paesi extraeuropei (soprattutto India).
Di dieci dei farmaci a rischio di carenza, almeno otto hanno un corrispettivo equivalente. Nel 2023, in Europa, il 70% del volume dei medicinali oncologici e antidiabetici e l’82% dei farmaci immunologici sono equivalenti.
Questi dati consentono a Nomisma ed Egualia di definire impensabile un mercato farmaceutico senza generici.
Gli interventi necessari su payback, gare pubbliche e prezzi ex factory
Secondo i principali osservatori dall’analisi emerge la necessità di interventi urgenti, in primis su payback, prezzi ex factory e meccanismi di aggiudicazione per le gare pubbliche.
Il payback è un meccanismo che impone alle aziende fornitrici di dispositivi medici e produttrici di farmaci rimborsabili dal SSN di restituire una quota del proprio fatturato se la spesa complessiva delle Regioni ha superato i limiti stabiliti. Gli importi vengono definiti da AIFA. Questo meccanismo è spesso contestato, in particolare quando riguarda i farmaci generici per la ragione che i margini di profitto su questa categoria di farmaci è già molto ridotta per le case farmaceutiche.
I produttori non hanno introiti adeguati sui medicinali equivalenti anche perché devono ripianare gli errori di programmazione o gli eccessi di spesa delle Regioni e sono così disincentivati a produrli.
Andrebbe anche ripensata la spesa destinata alla ricerca e alle politiche per favorire il ritorno della produzione dei principi attivi nel nostro Paese (reshoring) o quantomeno nel continente europeo. La produzione interna sarebbe un fattore di emancipazione dal controllo esercitato dai principali produttori extraeuropei. (Per alcune considerazioni sul tema del reshoring vedi questo articolo pubblicato sul blog).
Quanto alla necessità di mettere mano al meccanismo dell’imposizione dei prezzi ex factory, il discorso è piuttosto articolato.
AIFA concede l’autorizzazione alla immissione in commercio di farmaci -anche generici- a fronte di una contrattazione con le Aziende Farmaceutiche (ai sensi della Legge 326/2003 art. 48, comma 33), e sulla base di criteri indicati nella delibera CIPE «Individuazione dei criteri per la contrattazione del prezzo dei farmaci» (n. 3 del 1 febbraio 2001).
Al prezzo imposto ex factory, ovvero all’uscita della fabbrica, andranno aggiunti, ricalcolandoli in proporzione, i margini per i distributori, grossisti e farmacisti.
Questo meccanismo è fortemente contestato dalle categorie. È di pochi giorni fa (24 ottobre 2024), la notizia che sono portate all’attenzione del ministero forti preoccupazioni sulle disposizioni contenute nel disegno di legge della Manovra 2025 che prevede la riduzione delle quote di spettanza delle aziende produttrici di farmaci a favore della distribuzione intermedia.
In sostanza i prezzi al pubblico dei farmaci rimarrebbero invariati ma al loro interno, grazie alla manovra, la percentuale destinata ai produttori sarebbe erosa in favore dei distributori.
La possibile contrapposizione di interessi tra produttori e distributori rischia di di creare, comunque, degli attori perdenti nella filiera del farmaco.
L’argomento è spinoso e il dibattito appena avviato merita di essere monitorato per successivi approfondimenti.