Storica sentenza in tema di fallimento di una associazione non riconosciuta

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 23896/2023 pubblicata il 4 agosto, ha dato ragione al team difensivo di cui ha fatto parte il Prof. avv. Giovanni Battista Barillà in un caso di estensione del fallimento di una associazione non riconosciuta al socio legale rappresentante.

La  Suprema Corte, con la sua sentenza ha cassato senza rinvio la pronuncia della Corte d’Appello di Venezia impugnata in un caso di responsabilità per le obbligazioni contratte a nome di una associazione non riconosciuta poi fallita.

Il fallimento dell’associazione non riconosciuta

La Corte ha stabilito che: «La responsabilità personale e solidale prevista dall’art. 38 cod. civ. è circoscritta alle singole obbligazioni negoziali assunte ed è assimilabile a quella del fideiussore per le obbligazioni del debitore principale. Il fallimento dell’associazione non riconosciuta non comporta il fallimento per ripercussione di chi ha agito in nome e per conto dell’associazione medesima, che si limita a rispondere in via personale e solidale delle specifiche obbligazioni scaturite dall’attività negoziale così posta in essere».

La pronuncia ha portata storica perché ribalta l’orientamento sempre adottato in precedenza che prevedeva l’estensione del fallimento dell’associazione non riconosciuta alla persona del suo legale rappresentante.

La lettera dell’art. 147, comma 1, l.fall. dispone che «La sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili».

 

Il fallimento in ripercussione

Il meccanismo, noto come fallimento in ripercussione deriva da una interpretazione fino ad ora maggioritaria della legge fallimentare.

La Cassazione ha invece optato per una lettura restrittiva della norma e stabilito che la tesi dell’estensione del fallimento dell’associazione non riconosciuta al soggetto che abbia agito in nome e per conto della stessa non sia sostenibile, tanto più dopo la riforma dell’art. 147 l.fall.

«Tale norma è infatti ora espressamente applicabile solo alle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro V del codice civile, e, stante la sua portata eccezionale – derogatoria dei principi generali di cui agli artt. 1 e 5 l.fall. – non può essere estesa tout court alle ulteriori fattispecie in cui ricorra, per convenzione o per legge, una qualche responsabilità solidale illimitata per le obbligazioni assunte dall’ente collettivo». 

Grazie questa interpretazione viene superato un orientamento non più coerente con la ratio delle norme ed escluso il fallimento del socio dell’associazione non riconosciuta per estensione del fallimento dell’associazione.