La sentenza UE sui marketplace sollecita il tavolo tecnico al Ministero della Salute

Il ministero ha messo ieri in agenda per il 21 marzo prossimo, la riunione del tavolo istituito per iniziativa del sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato e dedicato a home delivery ed e-commerce di farmaci non soggetti a prescrizione medica.

La data di riunione delle parti al tavolo ministeriale – istituito sin da settembre e convocato a dicembre dello scorso anno – è diventata imminente grazie all’accelerazione impressa dalla pubblicazione della Sentenza della Corte di Giustizia europea emessa il 29 febbraio 2024 nella causa C-606/21 che ha sollevato numerose reazioni in tutta Europa.

La sentenza della Corte di giustizia sulla vendita di farmaci online

Del commento alla recentissima sentenza si sono occupate ampiamente le principali testate di settore, tra le altre vale la pena di richiamare Il Sole 24 Ore, Altalex e Pharmacy Scanner.

La pronuncia ha sollevato il dibattito in tutti gli Stati aderenti all’UE: tanto in Italia e Francia, da cui originava la causa, entrambi paesi in cui la vendita di farmaci online è vietata, tanto in Germania, paese nel quale invece è consentito anche l’e-commerce di farmaci subordinati prescrizione medica.

La questione infatti tocca numerosi temi, tra cui:

  • quello annoso della illiceità in Italia della vendita online di farmaci con prescrizione (art. 147, comma 4 bis del D.Lgs. n. 219/2006);
  • quello della liceità della vendita online di farmaci senza prescrizione (sop e otc), concessa solamente sul sito della farmacia (circolare DGDMF prot. 0025654 del 10.5.2016);
  • e infine quello della distribuzione a domicilio dei farmaci (home delivery), da parte di un terzo che non sia il farmacista (supplier o distributore), implicata dalla vendita a distanza.

La sentenza della Corte di Giustizia sostanzialmente precisa a quali condizioni gli Stati membri possano vietare il servizio offerto dai marketplace.

 

Il marketplace non è un negozio, ma una piattaforma che offre servizi

La sentenza si assume il compito di definire il termine marketplace in questo ambito: non sono negozi online che vendono direttamente al pubblico, praticando l’e-commerce, ma piattaforme che consentono l’incontro tra inserzionisti (in questo caso farmacisti in possesso di tutte le autorizzazioni alla vendita), e consumatori.

Lo scambio è diretto tra queste due parti anche se è favorito dalla piattaforma che organizza i contenuti, li presenta come parti di un solo catalogo, offre garanzie sulla regolarità dei sistemi di pagamento e fornisce dati per il controllo delle consegne.

Il punto nodale si trova infatti nel ruolo che la piattaforma marketplace assume nello scambio, da cui discende la facoltà dello Stato membro di impedirne l’attività in ambito farmaceutico.

Se il prestatore del servizio non ha la qualifica di farmacista lo Stato membro può legittimamente vietare la vendita di farmaci, ma se la piattaforma si limita a offrire una prestazione propria e distinta dalla vendita nel mettere in contatto farmacisti e consumatori, lo Stato membro non potrà vietare l’attività che è considerata «servizio della società dell’informazione» e come tale perfettamente lecita.

 

Le conseguenze per la vendita online di farmaci otc e sop

I quesiti sui quali si sta focalizzando il dibattito sono quindi sostanzialmente tre, uno tecnico, e due di mercato.

Il primo è come verificare che il servizio offerto dal marketplace si limiti a fornire il contatto tra venditori e clienti e la piattaforma non partecipi alla vendita del farmaco; il secondo riguarda l’attesa sulla reazione di Amazon, il marketplace più forte al mondo che già ospita numerose farmacie per la vendita di prodotti parafarmaceutici.

Il terzo e ultimo quesito, ma non per questo meno importante, riguarda invece l’aspetto della consegna del farmaco e parafarmaco acquistato online.

 

La consegna dei farmaci, il ruolo dei distributori

La sentenza della Corte di Giustizia, ampliando il raggio di azione delle piattaforme online, potrebbe aprire le porte ad un ripensamento anche dell’home delivery.

La possibilità di consegnare attraverso dispositivi (smart locker) o consegne dirette, da parte delle farmacie è  stata fermata (se ne è parlato in questo articolo), ma il maggior fiato che potrebbero acquisire le piattaforme potrebbe allargare le maglie della consegna da parte di distributori oggi non autorizzati.

Il passo per lo sdoganamento delle App di consegna a domicilio è davvero breve e va molto al di là della mera conformità letterale della consegna di farmaci fuori dalla farmacia con la normativa vigente (in particolare il  D.lgs 17/2014 e la circolare del Ministero datata 10 maggio 2015), perché tocca aspetti di mercato non banali.

Dietro la consegna dei farmaci infatti, c’è una intera filiera, quella della distribuzione indipendente.

È fatta di aziende che si sostengono nonostante costi sempre più gravosi (tanto per citarne qualcuno, energia e carburante), per garantire un servizio capillare.

Avere magazzini e flotta per rispondere alle richieste di consegna richiede notevoli investimenti in strutture, tecnologie e know-how.

La consegna di farmaci richiede attenzione sotto diversi profili,  tra cui:

  • la garanzia di conformità del prodotto;
  • la sua disponibilità sul mercato;
  • i tempi e le condizioni di conservazione;
  • la tracciabilità dei colli;
  • la prova di consegna;
  • la sicurezza durante il trasporto;
  • le garanzie e assicurazioni
  • la copertura capillare del territorio che tocca ogni angolo, anche remoto, del nostro Paese.

A pochi mesi dall’entrata in vigore anche in Italia, della Falsified Medicines Directive (direttiva 2011/62/UE), bisognerà tenere conto di come una distribuzione meno accurata di prodotti farmaceutici possa impattare sulla salute dei consumatori.

Il labirinto dell’e-commerce farmaceutico

Come abbiamo avuto modo di commentare nel precedente articolo, la sostenibilità della filiera farmaceutica è minacciata dalla contrazione dei ricavi, attribuibile in parte al nanismo delle imprese di distribuzione italiane. La maggior parte dei grossisti distributori chiude l’anno con bilanci negativi e si prevede una tendenza simile nel 2024.

La maggior parte dei distributori indipendenti affronta sfide molto complicate e molti analisti attribuiscono all’e-commerce di farmaci una quota di responsabilità. La stagnazione però riguarda anche il settore delle vendite online.

ll 2023 si è concluso infatti con una crescita del numero di esercizi autorizzati alla vendita di farmaci SOP (Senza Obbligo di Prescrizione), e OTC (Over The Counter, o farmaci da banco), nel nostro Paese, sebbene più contenuta rispetto all’incremento di autorizzazioni degli anni precedenti.

Il totale dei rivenditori, secondo quanto rilevato da FarmaciaVirtuale.it, sui dati resi disponibili dal ministero della Salute, è pari a 1.446, con 1.088 farmacie e 358 esercizi commerciali.

Il saldo attivo del 2023, se confrontato all’intero 2022, è di soli +19 esercizi – tra aperture e chiusure – che hanno ricevuto autorizzazione a vendere online Sop e Otc.

Al 30 settembre del 2023 i valori erano pari a 1.425, con 1.075 farmacie e 350 esercizi commerciali, e uno scostamento di -2 esercizi autorizzati rispetto ai dati di chiusura del 2022.

 

Le potenziali cause di stagnazione nel settore della vendita di farmaci online

L’incremento contenuto nel numero di esercizi autorizzati alla vendita online di farmaci Sop e Otc nel 2023, rispetto agli anni precedenti, potrebbe essere attribuito a diversi fattori.

Tra le possibili cause potrebbe esserci la saturazione del mercato, con un numero di esercizi online che si avvicina alla copertura totale della domanda effettiva degli acquirenti online.

Altri motivi andrebbero ricercati tra:

  • la complessità logistica e ai costi associati all’avvio e alla gestione di un’attività di e-commerce, certamente un deterrente per l’avvio di nuovi player nel settore online;
  • alcuni aspetti strategici legati agli investimenti nello sviluppo delle attività territoriali rispetto a quelle online (le farmacie preferiscono investire off-line e non on-line);
  • la concorrenza con le grandi catene e i colossi dell’e-commerce – sia del canale, ma anche extra-canale – già solidamente posizionati sul mercato.

Quando a vendere online è una farmacia e non un operatore specializzato in e-commerce, vanno considerate le condizioni previste dalla legge (D. Lgs. 219/2006 art. 112 quater). Queste dinamiche potrebbero influenzare la decisione di potenziali nuovi operatori di entrare in questo mercato.

 

Leggi, divieti, proposte di modifica e questioni aperte per l’e-commerce di farmaci

La vendita online di farmaci in Italia è regolata dalla direttiva del Parlamento europeo 2011/62/UE e dal Decreto legislativo n. 17 del 2014, che definisce l’e-commerce dei farmaci come la «Vendita a distanza al pubblico di medicinali mediante i servizi della società dell’informazione».

Solo le farmacie autorizzate (comprese le società di farmacisti e gli esercizi commerciali autorizzati), possono vendere farmaci online. È vietata la vendita online dei medicinali che richiedono una prescrizione medica, così come la pratica del dropshipping.

Di questo modello di business abbiamo accennato in questo articolo. Si parla di dropshipping quando il rivenditore non tiene fisicamente i prodotti in magazzino ma li acquista direttamente da un fornitore o produttore facendoli poi arrivare da loro direttamente al cliente.

Una circolare del Ministero della Salute ha vietato specifiche pratiche nell’e-commerce farmaceutico, quali:

  • l’uso di applicazioni per dispositivi mobile;
  • i marketplace (piattaforme online che fungono da intermediarie tra acquirenti e venditori, consentendo a questi ultimi di commerciare beni e servizi);
  • l’uso di siti web intermedi
  • l’uso di piattaforme tecnologiche che collegano il consumatore a un venditore selezionato dal sistema.

La peculiare normativa in vigore sulla vendita di farmaci è tesa a disincentivare la vendita di farmaci con pratiche commerciali aggressive. Il Ministero ha, ad esempio, consentito di cancellare le spese di spedizione al raggiungimento di un certo importo solo a condizione che la spedizione riguardi tutte le merci vendute online e non soltanto i farmaci. Queste condizioni di vendita vanno comunicate a priori sul sito web.

Nel ricordare la disposizione che vieta la vendita online di farmaci da parte dei grossisti, il Ministero ha fornito anche chiarimenti sulla questione del possibile coordinamento tra farmacia e grossista per la spedizione del farmaco al cliente che ordina online sul sito della farmacia.

Vige l’obbligo per la farmacia di vendere online solo i farmaci acquistati direttamente con il proprio codice univoco e conservati presso il proprio magazzino.

In altre parole, il farmacista può vendere online solo i medicinali senza ricetta di cui è già in possesso e non può chiedere al grossista di recapitarlo direttamente al cliente.

 

Le questioni ancora aperte a livello europeo

Restano ancora da definire due questioni molto rilevanti che sono al vaglio delle autorità di giustizia dell’Unione europea.

La prima riguarda il caso francese di vendita online di farmaci da parte di un operatore non farmacista. L’avvocatura generale presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha paventato la commissione del reato di esercizio abusivo della professione di farmacista. Il Ministero della salute italiano ha aperto un tavolo sulla questione lo scorso settembre 2023.

La seconda attiene alla potenziale violazione del GDPR (Regolamento privacy europeo), da parte di Amazon per la raccolta di dati sanitari sensibili durante il procedimento di vendita di farmaci da banco online.

 

 

La sostenibilità della filiera del farmaco passa per i distributori

di Samuele Barillà

In attesa di conoscere i dati macroeconomici definitivi del 2023, molti analisti offrono opinioni e ricette sull’andamento della filiera del farmaco e in particolare sulla distribuzione intermedia, che rappresenta un anello essenziale per la salute dell’intera catena che va dalla produzione al consumo di medicinali con prescrizione medica nel nostro Paese.

I dati offerti da IQVIA Italia nel corso di un convegno organizzato nel maggio 2023 e la lettura dei bilanci depositati a fine anno, offrono una base utile agli osservatori per le proiezioni sull’anno appena iniziato.

Alessandro Orano, nella sua attuale veste di noto commentatore , nel corso di una video intervista al portale Farmaciavirtuale.it , si è concentrato sulla sostenibilità della filiera farmaceutica e ha attribuito una parte importante delle colpe della contrazione dei ricavi al nanismo delle imprese italiane del settore della distribuzione.

L’approfondimento parte da un dato incontrovertibile: la maggioranza dei grossisti distributori ha chiuso l’anno con bilanci in perdita e procederà sullo stesso declivio nel 2024.

l numero dei distributori, riferito anche da IQVIA conta “ben” 44 grossisti, di cui i primi 10 realizzano oltre l’80% del fatturato. La quota del 37% è composta dai distributori indipendenti, il 32% da cooperative di farmacie e il 31% da gruppi internazionali.

Dei primi dieci (per fatturato), nove possiedono un network di farmacie (che è come dire che sono proprietarie dei loro clienti), e 4 distribuiscono anche online con propri siti di e-commerce.

È altrettanto incontrovertibile che il fatturato dei grossisti distributori sia destinato ad affrontare nuove sfide anche nel corso del 2024.

Gli analisti puntano l’indice su alcuni fenomeni come:

  • l’erosione del mercato, progressiva e inesorabile a vantaggio dell’e-commerce;
  • l’apertura, da parte delle grandi catene di farmacie di magazzini di stoccaggio a servizio esclusivo dei propri punti vendita.

La soluzione, per i distributori sarebbe quella di unire le proprie forze, con fusioni tra loro, per utilizzare le leve di marketing e di ottimizzazione logistica e gestionale e ottenere ricavi maggiori, oltre che per ridurre il numero di concorrenti.

L’analisi non tiene conto di alcuni fenomeni decisivi per i distributori di farmaci

Questa analisi però non tiene conto di tutti i fattori che determinano le regole della concorrenza in questo piccolo mercato.

Un primo fenomeno non trascurabile è quello noto come il direct-to-pharmacy, cioé la tendenza, in continuo aumento (+30% nel 2023), delle farmacie di approvvigionarsi di medicinali direttamente dalle case produttrici, che riteniamo insensibile alle suggerite concentrazioni.

Questa scelta, come abbiamo accennato anche in un altro post su questo stesso blog, ha diversi risvolti che sono in grado di modificare le regole del gioco tra i player di questo settore.
Non sempre, infatti, l’approvvigionamento diretto è una scelta che migliora la marginalità della farmacia, ma anzi aggrava la sua gestione interna perché la costringe a trattare e gestire un numero maggiore di fornitori.

I margini sono anche compressi dalla gestione delle giacenze e dei flussi di rivendita, con il rischio di aggravare i costi complessivi, anche se il margine sul singolo prodotto sembra premiare questa scelta.

Il costo indiretto di stoccaggio infatti, sulle grandi quantità, grava ora sui grossisti e lascia sostanzialmente indenni farmacisti e consumatori finali. Con l’approvvigionamento diretto si sposta sulla farmacia e l’esito, a lungo termine non sarebbe lieto, soprattutto per le farmacie indipendenti e in particolare per quelle rurali e per la loro utenza, che, senza i distributori indipendenti resterebbe senza medicine.

Resta il fatto che è impossibile impedirlo ed è un fattore indipendente e incontrollabile dalla grandezza del distributore.

Il secondo fenomeno riguarda i dati contraddittori sulle grandi catene di farmacie.

Le grandi catene di pharmacy retail all’estero sembrano in sofferenza (ce ne siamo occupati qui ), nonostante l’appeal che continuano ad avere in Italia. Pare azzardato ritenere che solo nel nostro paese questo modello continui a rappresentare la vera minaccia esistenziale al sistema distributivo farmaceutico. L’apertura di magazzini rappresenterà una razionalizzazione sia per la catena proprietaria, sia per i distributori che continueranno a servirla, non un fattore disruptive.

Il terzo fenomeno: non si tiene conto che le vere leggi della concorrenza tra i distributori le fa lo Stato

 

Le leggi della concorrenza nel mercato della distribuzione farmaceutica le fa lo Stato

La Legge 248 del 2006 (nota come Decreto Bersani), ha consentito alle farmacie di fornire medicinali all’ingrosso probabilmente con l’intento di incentivare la nascita di altri gruppi e favorire la concorrenza.

Il fenomeno ha prodotto accorpamenti di farmacie che si comportano come gruppi di acquisto e distribuiscono farmaci al proprio interno, favorendo i cartelli, erodendo il mercato dei distributori indipendenti e tralasciando completamente le esigenze delle piccole farmacie e di quelle non accorpate in network.

La chiamata in causa dell’e-commerce come fenomeno che penalizza i distributori, da parte di alcuni analisti, non spiega tutto. Non si considera che i farmaci soggetti a prescrizione medica non possono essere distribuiti online.

In Italia -per ora- le norme sulla vendita di farmaci online sono stringenti e riguardano i farmaci OTC (da banco), e SOP (senza obbligo di prescrizione). Ce ne siamo occupati in questo articolo sul Blog di Studio legale Barillà.

Da ultimo i commentatori sembrano dimenticare che le norme che regolano la concorrenza in questo mondo non sono solo quelle del libero mercato e la logica di sconti, servizi, tempi e modi di distribuzione che teoricamente i grossisti potrebbero usare come leva, non possono interferire con regole imposte dall’alto, per legge.

Per tutte valgono l’obbligo di fornitura alle farmacie entro le dodici ore successive alla richiesta, ex art. 105 DLgs 219/2006 e i margini sui farmaci a carico del SSN imposto dalla Legge 30 luglio 2010 di conversione del Decreto Legge n.78/2010.

Di conseguenza, l’aumento dei costi di logistica, energetici e finanziari e l’incremento dei tassi di interesse sul denaro a debito non sarebbe compensabile giocando con i margini, nemmeno concentrando la distribuzione.

Un distributore indipendente quindi non può scegliere quando consegnare i farmaci per ottimizzare i propri costi di gestione, logistica e organizzativi, né può applicare sconti ai propri clienti, avendo margini risicati e fissati per legge.

 

La concentrazione in grandi gruppi non è una ricetta

La concentrazione dei distributori potrebbe, per eterogenesi dei fini, aggravare la situazione dei giganti che ne risulterebbero.

Sarebbero costretti a ridurre pesantemente la rete di magazzini, risultanti dalle aggregazioni, con l’inevitabile aumento dei costi energetici e logistici, per assicurare i servizi a territori più ampi.

Pare difficile che pochi distributori (quanti, due? tre?) siano in grado di sostenere economicamente ottomila comuni e oltre seimila farmacie rurali.

Incentivare la concentrazione tra i distributori è quindi una soluzione che non tiene conto dei limiti che la normativa italiana del settore impone e soprattutto del costo nascosto che il gigantismo dei grossisti avrebbe sul consumatore finale che nel nostro Paese spesso risiede in località remote o non urbane.

È, quindi, mia opinione che le uniche forme di concentrazione sostenibili riguardano probabilmente solo i piccoli distributori regionali.

La realtà è che da un lato occorrerebbe un cambiamento di mentalità da parte di tutti gli operatori del settore, dall’altro, una razionalizzazione delle norme che lo comprimono.

La nuova legge di bilancio e gli impatti sulla distribuzione farmaci

La bozza della Legge di Bilancio 2024, all’art.44  propone una modifica delle modalità di distribuzione dei farmaci. Propone anche la revisione del sistema di remunerazione delle farmacie per il rimborso dei farmaci erogati in regime di Servizio sanitario nazionale che dal primo marzo 2024 sarebbe sostituito da una quota variabile e da quote fisse.

Gli interventi sui tetti alla spesa

Si interviene sia sui tetti alla spesa, che sul meccanismo di remunerazione delle farmacie. Nel primo caso crescono le percentuali di quella per l’assistenza diretta e flettono quelle per la convenzionata; nel secondo l’aggiornamento degli importi (fissi e variabili) riconosciuti per farmaco si accompagna alla previsione di specifiche maggiorazioni e alla eliminazione degli sconti.

Il nuovo sistema di remunerazione prevede la corresponsione per ciascuna confezione venduta di una quota percentuale (il 6 per cento del prezzo) e di una quota fissa che varia in relazione al prezzo. Ad esse si aggiungono ulteriori quote nel caso di vendite di farmaci inseriti nelle liste di trasparenza e/o in funzione del fatturato registrato verso il SSN. Al contempo sono soppressi gli sconti previsti finora a carico delle farmacie, che nel 2022 avevano consentito di abbattere il costo per il sistema sanitario di circa 540 milioni.

L’incremento dei margini per le farmacie aumenterebbe, secondo la relazione tecnica, di 227 milioni, quindi in misura inferiore all’importo stesso degli sconti finora corrisposti. Se ne desume che il nuovo sistema vede ridursi l’importo medio finora corrisposto per confezione.

Al netto poi della remunerazione aggiuntiva prevista dalla legge 197/2022, la maggiore spesa a carico del SSN è stimata in 77 milioni annui (53 milioni per il 2024).

L’obiettivo dichiarato dal Legislatore è favorire l’accesso dei pazienti ai farmaci attraverso una distribuzione più capillare. Questo obiettivo sarà realizzato rivedendo il prontuario della continuità assistenziale ospedale-territorio (PHT), e la riclassificazione di alcuni farmaci nella fascia A.

La conseguenza immediata sarà l’aumento dell’utilizzo da parte delle farmacie del canale convenzionato rispetto alla distribuzione diretta o per conto (DPC).

Il testo è ancora in fase di revisione e potrebbero essere apportate modifiche, ma è utile intanto riflettere sugli impatti potenziali di questa norma che prende le mosse dalla indagine della XII commissione “Affari sociali” che evidenziò, nel 2022 la necessità di aggiornare le forme di distribuzione previste dalla legge 405/2001 per garantire una assistenza farmaceutica di prossimità distribuita in maniera più omogenea sul territorio.

 

Gli impatti sulla filiera di distribuzione dei farmaci

I potenziali impatti dell’art. 44, però, potrebbero estendersi ben oltre questo aspetto, come viene evidenziato dagli analisti della SDA Bocconi School of Management, su Il Sole 24 Ore Sanità, e segnatamente:

  1. Impatto sulle farmacie
    L’effetto del maggiore utilizzo del canale convenzionato avrà conseguenze diverse nelle diverse regioni, a seconda dell’attuale utilizzo della distribuzione diretta e per conto (DPC).
  2. Impatto sulla spesa farmaceutica e sull’efficienza nell’uso delle risorse dei tetti di spesa
    Lo spostamento dalla distribuzione diretta di fascia A e dalla DPC alla distribuzione convenzionata comporta un cambio nella qualificazione della spesa. La norma potrebbe avere l’effetto di alleggerire per le farmacie il superamento del tetto degli acquisti diretti.
  3. Impatto organizzativo per le farmacie ospedaliere e per il procurement
    L’aspetto positivo per le organizzazioni del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) potrebbe alleggerire la logistica delle farmacie ospedaliere e ridurre il carico per le istituzioni responsabili dell’approvvigionamento dei farmaci di fascia A, grazie all’utilizzo del canale convenzionato.
    I farmaci acquistati tramite il canale convenzionato infatti non vengono acquistati direttamente dal SSN, ma vengono solo rimborsati.
  4. Impatto sulle imprese farmaceutiche e sul mercato
    Dal punto di vista delle imprese farmaceutiche, potrebbe essere positivo il fatto che molti prodotti, soprattutto quelli a brevetto scaduto, si spostino sul canale convenzionato, dove il prezzo è meno incerto. Le politiche attuali di approvvigionamento dei farmaci maturi hanno generato distorsioni significative sul mercato, portando alla progressiva riduzione dei fornitori nel nostro paese e all’aumento delle carenze. L’uso maggiore del canale convenzionato per i prodotti fuori brevetto garantisce un prezzo uniforme per tutti verso il SSN.(Ci siamo occupati di farmaci “maturi in questo blog. Leggi l’articolo).

  5. Impatto su cittadini e pazienti

    Sulla carta, il semplice spostamento dei farmaci dalla distribuzione pubblica controllata (DPC) alla distribuzione convenzionata non avrà un impatto significativo per i cittadini e i pazienti che difficilmente noteranno la differenza. L’effetto sarà più evidente nelle regioni in cui la DPC o il doppio canale non sono stati ampiamente utilizzati. In questi casi, potrebbe esserci un miglior accesso ai farmaci e quindi un miglioramento dell’equità.

 

L’impatto sulla distribuzione indipendente

L’analisi però sottolinea che i prodotti di fascia A acquistati attraverso il canale convenzionato hanno un prezzo negoziato con l’industria che è tendenzialmente più alto rispetto all’acquisto tramite gara, soprattutto per i prodotti a brevetto scaduto.

Nel prezzo dei prodotti che viene praticato al pubblico è incluso anche il margine di profitto per la filiera, che comprende grossisti, distributori e farmacie.

Nel trasferire i prodotti dalla distribuzione pubblica controllata (DPC) a quella convenzionata, il costo del servizio di erogazione (cioè il margine per la filiera nella spesa convenzionata), sarà incluso nel calcolo dei limiti di spesa e non sarà più considerato come un costo esterno alla spesa farmaceutica con impatti di contabilità pubblica non trascurabili.

È quindi probabile che si verifichi una riduzione delle risorse non utilizzate, ma ciò sarà dovuto non solo alla riclassificazione dei farmaci, ma anche al possibile spostamento di voci di costo precedentemente non incluse verso i limiti di spesa.

«La sostanziale eliminazione del canale DPC – si legge nell’analisi citata- potrebbe aumentare il fenomeno dell’acquisto out-of-pocket anche di farmaci rimborsabili, così come già avviene diffusamente oggi per i farmaci distribuiti in convenzionata (Osmed riporta 1,9 miliardi nel 2022, già in crescita del 16,1% rispetto al 2021).  C’è quindi il rischio che per risolvere un problema di equità nell’accesso capillare se ne generi un altro relativo alla spesa a carico dell’assistito».

Rischio che si ribalta potenzialmente su quella parte della filiera che verrebbe scavalcata da un ricorso improprio all’acquisto diretto.

Samuele Barillà

Le catene di farmacie, un modello da ripensare

Il modello della grande catena di negozi di farmacie retail vacilla, come acuti osservatori fanno notare a seguito di alcuni segnali piuttosto inequivocabili.

Ne parla Alessando Orano su Pharmacy Scanner e cita alcuni esempi:

  • Rite Aid, grosso gruppo USA che ha fatto ricorso al Chapter 11 e dichiarato bancarotta;
  • WBA che a causa di perdite costanti in borsa ha sostituito i vertici;
  • LloydsPharmacy si sta disfando dei punti vendita;
  • Boots Uk da tempo cerca un compratore senza trovarlo.

La crisi delle grandi catene di farmacie retail nel mondo anglosassone

Questo fenomeno sembra non scoraggiare gli investitori che ancora approcciano il nostro Paese come un mercato nel quale, nonostante la crisi generale del modello di vendita al pubblico retail, il settore farmaceutico sembra tenere.

I segnali preoccupanti che tutti vedono riguardano la forte concorrenza degli altri canali di vendita che, così come nel settore del libro, della moda e persino del cibo, hanno ceduto davanti alle vendite online o alle formule ibride.

Ma questi fenomeni stanno decisamente interessando anche il mercato farmaceutico.

Ne sono esempio la crescita del mercato e-commerce, delle parafarmacie, dei drugstore e dei corner nei supermercati.

[Ce ne siamo occupati in questo blog: leggi l’articolo]

Probabilmente il modello retail nel settore farmaceutico ha ancora, almeno sul nostro mercato nazionale, una sua tenuta per il forte rapporto che il farmacista (o parafarmacista), instaura con il cliente/paziente, rapporto che previlegia il legame con il territorio rispetto al valore immateriale del marchio o brand.

Tuttavia è il modello della grande catena che sembra aver bisogno di essere ripensato.

Lo scenario evolutivo indica che può nascere un nuovo modello di farmacia

Uno scenario di evoluzione, che potrà essere favorito dall’aggregazione di soggetti diversi, come i farmacisti/rivenditori, le case di cura e residenze per anziani, così come gli altri modelli intermedi di clinica, sarà probabilmente favorito dalla introduzione definitiva di servizi che migliorino l’aderenza terapeutica o i modelli di integrazione tra professionisti.

Nell’articolo citato sopra si suggerisce di pensare a un modello meno spersonalizzato e fondato sul solo valore del brand, guardando con interesse alla nascita di: «gruppi locali meno grandi ma integrati nel sistema regionale con l’obiettivo di diventare farmacie di comunità che lavorano sulla presa in carico del paziente, sull’aderenza alla terapia, sul supporto al paziente cronico e in definitiva sulla fiducia con il cliente-paziente, che non viene gestito solo da sofisticati meccanismi di Crm ma anche da farmacisti che lo conoscono personalmente».

In questo scenario anche le piccole operazioni di sviluppo e di M&A del settore acquistano una importanza strategica decisiva, proprio perché salvaguardano i valori dell’aderenza territoriale, della snellezza della governance e quindi sono, più premianti, anche in termini di utili.

Le aste al ribasso sui farmaci maturi non aiutano il mercato né i pazienti

La necessità di razionalizzare la spesa sanitaria è un mantra che occupa costantemente il dibattito politico.

L’allocazione di fondi non sembra mai sufficiente a riportare il livello dei servizi a quella “efficienza” che, sottovalutata ai tempi, ci fa rimpiangere la Sanità pubblica ante pandemia.

In questo solco si innestano le strategie pubbliche di risparmio che guidano la preparazione delle gare d’appalto per l’approvvigionamento dei farmaci.

La partecipazione alle gare e la tutela degli interessi delle parti è materia per l’avvocato esperto in diritto sanitario, nei diversi côte commerciale e amministrativo.

Le aste dei farmaci maturi

Per anni, le istituzioni responsabili degli acquisti di farmaci hanno adottato una strategia di riduzione graduale dei prezzi per i farmaci maturi.

Questa strategia, implementata in linea con le guidelines nazionali e internazionali ha lo scopo di favorire l’uso di farmaci generici, biosimilari o con brevetti scaduti (noti come off-patent) e in generale di ridurre i costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

Per questo nelle gare di appalto per la aggiudicazione di commesse per forniture di farmaci, i prezzi di base sono sempre più bassi.

Lo scopo è quello di incentivare, dal lato dell’amministrazione, la riduzione della spesa che però finisce per gravare su produttori e distributori e riduce ulteriormente i profitti già erosi.

Uno degli effetti più preoccupanti è l’aumento progressivo dei lotti andati deserti alle aste pubbliche e la diminuzione del numero di imprese che presentano offerte per ogni lotto (meno di due per lotto negli ultimi anni. Fonte Rapporto Nomisma)

 

Il mercato dei farmaci maturi

La definizione di farmaci maturi, nota agli addetti ai lavori, si riferisce ai medicinali che vengono introdotti sul mercato a un prezzo uguale o inferiore al costo più basso già stabilito per i farmaci approvati e rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN).

Nel contesto degli acquisti pubblici i prodotti farmaceutici maturi rappresentano il 66,7% del volume complessivo, ma solo l’8,5% della spesa totale.

Questo dato non sorprende considerando che è principalmente su questo canale che confluiscono l’innovazione farmaceutica e i prodotti medicinali ad alto costo.

Il dato però evidenzia che il mercato potenziale dei farmaci maturi è significativo e può generare economie interessanti (due terzi dei consumi rappresentano meno di un decimo della spesa).

Della spesa complessiva generata da prodotti off-patent, solo il 28,6% riguarda farmaci non branded, che pure rappresentano il 45% dei consumi.

Questo potrebbe indicare un’opportunità di sfruttamento non pienamente realizzata in termini di effetto-prezzo.

Un risparmio pagato a caro prezzo

Da parte di molti osservatori, la tendenza della pubblica amministrazione a utilizzare il risparmio come unico benchmark per la fissazione dei prezzi a base d’asta, viene considerata eccessiva e potenziale fattore di destabilizzazione del mercato.

Lo dimostrano la periodica rendicontazione pubblicata da AIFA sull’utilizzo dei farmaci biosimilari e le stime di risparmio potenziale.

Il documento presentato dall’Agenzia e commentato dai più preparati osservatori (come i redattori di questa nota su Sanità 24), simula quattro diversi scenari di potenziale risparmio, tutti basati sulla differenza tra il prezzo pagato in ogni regione per le molecole con biosimilari disponibili e il prezzo medio o minimo pagato a livello nazionale.

Il risparmio potenziale viene quindi calcolato:

  • come effetto del riallineamento dei prezzi verso il benchmark medio o minimo;
  •  come effetto del progressivo aumento della prevalenza dei biosimilari rispetto ai propri originatori nei diversi contesti regionali.

Uno sguardo al reshoring della produzione farmaceutica

Il fenomeno del reshoring in ambito farmaceutico, noto anche come onshoring o insourcing, riguarda il processo strategico di rientro nel Paese delle attività di produzione farmaceutica che erano state precedentemente delocalizzate all’estero.

Come da tempo viene messo in evidenza dall’Osservatorio sui farmaci generici cui hanno dato vita Equalia e Nomisma, oltre all’impennata dei prezzi che ha seguito l’emergenza pandemica, che ha riguardato tanto i costi finanziari inflattivi, tanto quelli legati all’energia e alla logistica, un terzo fenomeno ha aggravato la disponibilità dei farmaci nel nostro Paese (e non solo): la carenza delle componenti base e dei semilavorati che provengono in larga parte da paesi asiatici.

 

La dipendenza della produzione farmaceutica da fornitori esteri

Uno dei principali problemi dell’approvvigionamento di farmaci, che riguardal’industria farmaceutica è la dipendenza da fornitori esteri per il reperimento dei principi attivi e dei semilavorati alla base della produzione dei farmaci.

Questo fenomeno può rendere le aziende vulnerabili a interruzioni della catena di approvvigionamento, come accaduto durante la pandemia di COVID-19.

La mancanza di diversificazione dei fornitori e la concentrazione geografica nel continente asiatico, aumentano inoltre il rischio di carenze di farmaci critici.

La produzione farmaceutica peraltro richiede un rigoroso controllo di qualità e conformità alle normative. Con la delocalizzazione della produzione si è attuato un trasferimento di conoscenze e competenze importante verso fornitori esterni che non sempre garantiscono gli stessi standard di qualità e le capacità di aderire alle normative.

Questo fenomeno può far aumentare il rischio di produzione di farmaci non conformi o di bassa qualità che con le conseguenze immaginabili sulla salute dei pazienti.

 

Il reshoring come soluzione al problema delle carenze

ll reshoring può essere una delle soluzioni per prevenire o mitigare le carenze di farmaci.

Con una produzione locale più robusta, le aziende farmaceutiche sono in grado di controllare meglio la qualità, la quantità e la tempestività della produzione dei farmaci.

Il reshoring può anche favorire una maggiore collaborazione tra le aziende farmaceutiche e le autorità regolatorie locali che agevola la trasparenza e la rapidità del flusso di informazioni riguardo alle esigenze di produzione e di approvvigionamento di farmaci essenziali.

La carenza di farmaci è un problema complesso e multifattoriale che richiede azioni coordinate a livello globale, tra cui

  • la diversificazione dei fornitori
  • l’aumento delle capacità produttive
  • il miglioramento della pianificazione della domanda e dell’offerta
  • il maggior ricorso ai farmaci generici e off patent
  • l’adozione di politiche e regolamenti adeguati.

Ci siamo già occupati di carenze di medicinali in questo blog, leggi questo articolo e questo articolo.

 

Gli esempi di reshoring in Italia

Probabilmente l’introduzione di incentivi fiscali o sussidi per incoraggiare le aziende a riportare la produzione farmaceutica nel Paese avrebbe un impatto positivo, così come la collaborazione con l’industria farmaceutica per creare partenariati pubblico-privato che favoriscano la produzione locale di farmaci. Più di tutto sarebbero utili investimenti in ricerca e sviluppo nel settore farmaceutico e nell’infrastruttura necessaria per supportare la produzione locale di farmaci, come in laboratori di ricerca e strutture manifatturiere all’avanguardia.

Non è secondario, infatti, a livello politico e sociale, anche l’impatto del reshoring sull’offerta di impiego specializzato e in generale sull’occupazione.

Nel nostro Paese alcune importanti case farmaceutiche hanno già attivato progetti di reshoring, quali:

  1. Menarini che ha annunciato nel 2020 di aver avviato un progetto di reshoring per la produzione di farmaci oncologici ad alto valore aggiunto. L’azienda ha investito in una nuova struttura produttiva a Firenze, riportando in Italia la produzione che in precedenza era stata delocalizzata in Spagna.
  2. Angelini che ha annunciato in luglio una iniziativa triennale di transizione ecologica dello stabilimento di Aprilia che consentirà di produrre principi attivi in modo sempre più efficiente, ecologico e innovativo, in parziale reshoring.
  3. Chiesi Farmaceutica, specializzata in prodotti per la respirazione e la terapia intensiva, ha avviato un processo di reshoring inaugurato nel 2018 inziando i lavori di costruzione del Biotech Center of Excellence, il nuovo hub per lo sviluppo di prodotti biologici che sta sorgendo nell’area del principale stabilimento produttivo del Gruppo a Parma per riportare in Italia la produzione di farmaci inalatori, precedentemente delocalizzati in Germania.

 

Le principali criticità legali generate dal processo di reshoring

Alcune criticità generali prodotte dalla iniziativa di riportare la produzione di farmaci nel nostro Paese vanno considerate, quali:

  1. Regolamentazione
    Il settore farmaceutico è soggetto a rigorose normative e regolamenti in materia di produzione, controllo di qualità e sicurezza dei prodotti. Prima di riportare la produzione Italia è necessario l’adeguamento degli stabilimenti alle norme e ai requisiti regolatori domestici, inclusi quelli relativi alla produzione, all’etichettatura, alla gestione dei rifiuti, alla tracciabilità e alla conformità alle norme di buona pratica di fabbricazione (GMP).
  2. Proprietà intellettuale
    La protezione della proprietà intellettuale è una questione critica tantopiù quando si trasferisce la produzione in un nuovo Paese. È importante garantire che i brevetti siano adeguatamente protetti per evitare violazioni o contraffazioni.
  3. Contrattualistica
    Il reshoring potrebbe richiedere la rinegoziazione o la revoca di contratti esistenti con fornitori, distributori o partner esteri. Ciò richiede una valutazione attenta dei termini contrattuali e delle eventuali clausole di risoluzione anticipata o di rinegoziazione.
  4. Norme sulla sicurezza dei lavoratori
    Non ultimo, il profilo di protezione dei lavoratori merita valutazioni approfondite. Quando si sposta la produzione nel nostro Paese devono essere prese in considerazione le normative sulla salute e la sicurezza sul lavoro, i diritti dei dipendenti e le condizioni di lavoro.
  5. Regolamenti sulla distribuzione.
    Oltre alla produzione, è importante considerare anche i regolamenti sulla distribuzione dei prodotti farmaceutici vigenti nel nostro Paese che vanno dall’ottenimento delle autorizzazioni di commercializzazione e di distribuzione, alla conformità alle norme di conservazione e trasporto dei prodotti farmaceutici al rispetto dei requisiti di tracciabilità, anche in previsione dell’entrata in vigore della FMD Falsifed Medicines Directive, la direttiva europea (direttiva 2011/62/UE), nel 2025.

Storica sentenza in tema di fallimento di una associazione non riconosciuta

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 23896/2023 pubblicata il 4 agosto, ha dato ragione al team difensivo di cui ha fatto parte il Prof. avv. Giovanni Battista Barillà in un caso di estensione del fallimento di una associazione non riconosciuta al socio legale rappresentante.

La  Suprema Corte, con la sua sentenza ha cassato senza rinvio la pronuncia della Corte d’Appello di Venezia impugnata in un caso di responsabilità per le obbligazioni contratte a nome di una associazione non riconosciuta poi fallita.

Il fallimento dell’associazione non riconosciuta

La Corte ha stabilito che: «La responsabilità personale e solidale prevista dall’art. 38 cod. civ. è circoscritta alle singole obbligazioni negoziali assunte ed è assimilabile a quella del fideiussore per le obbligazioni del debitore principale. Il fallimento dell’associazione non riconosciuta non comporta il fallimento per ripercussione di chi ha agito in nome e per conto dell’associazione medesima, che si limita a rispondere in via personale e solidale delle specifiche obbligazioni scaturite dall’attività negoziale così posta in essere».

La pronuncia ha portata storica perché ribalta l’orientamento sempre adottato in precedenza che prevedeva l’estensione del fallimento dell’associazione non riconosciuta alla persona del suo legale rappresentante.

La lettera dell’art. 147, comma 1, l.fall. dispone che «La sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili».

 

Il fallimento in ripercussione

Il meccanismo, noto come fallimento in ripercussione deriva da una interpretazione fino ad ora maggioritaria della legge fallimentare.

La Cassazione ha invece optato per una lettura restrittiva della norma e stabilito che la tesi dell’estensione del fallimento dell’associazione non riconosciuta al soggetto che abbia agito in nome e per conto della stessa non sia sostenibile, tanto più dopo la riforma dell’art. 147 l.fall.

«Tale norma è infatti ora espressamente applicabile solo alle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro V del codice civile, e, stante la sua portata eccezionale – derogatoria dei principi generali di cui agli artt. 1 e 5 l.fall. – non può essere estesa tout court alle ulteriori fattispecie in cui ricorra, per convenzione o per legge, una qualche responsabilità solidale illimitata per le obbligazioni assunte dall’ente collettivo». 

Grazie questa interpretazione viene superato un orientamento non più coerente con la ratio delle norme ed escluso il fallimento del socio dell’associazione non riconosciuta per estensione del fallimento dell’associazione.

 

Il Ministero chiamato a disciplinare l’home delivery dei farmaci

La questione della dispensazione dei medicinali fuori dalla farmacia torna sul tavolo del Ministero della Salute grazie all’iniziativa di Federfarma che, dopo gli smart locker (armadi intelligenti), propone un interpello sulla liceità delle APP per l’home delivery (consegna a casa).

La sperimentazione sugli Smart Locker per la distribuzione di farmaci

Dopo la prima richiesta di parere sulla legittimità dell’utilizzo di armadi intelligenti (smart locker), si apre una nuova questione sull’utilizzo di APP per la consegna dei medicinali a domicilio (home delivery).  Su questa attività l’Associazione di categoria dei farmacisti chiede nuovamente l’intervento del Ministero.

Numerose farmacie, da Cinisello Balsamo a Reggio Emilia e a Brescia, hanno installato, sin dal 2020, alcuni armadi intelligenti (smart locker) per il ritiro di farmaci da parte dei pazienti. Gli armadietti, refrigerati, consentono al cliente che ha presentato una ricetta, di ritirare il farmaco dopo aver ricevuto un codice dalla farmacia, usando la propria tessera sanitaria.

Prove tecniche di tecnologia IOT (Internet Of Things) al servizio della distribuzione farmaceutica, verrebbe da dire.

Federfarma (l’associazione di categoria che riunisce le farmacie), però, ha proposto un interpello per chiarire se l’uso di questa tecnologia e il servizio in sé fossero compatibili con le norme che regolano la vendita al pubblico di medicinali di uso umano presso l’esercizio fisico e online, oggi disciplinata dall’articolo 112-quater del d.lgs 219/2006.

La Direzione generale del Ministero ha replicato all’Associazione con la lettera di chiarimento «Smart locker nelle farmacie territoriali» e ha chiarito in modo inequivocabile che nessuna interpretazione delle norme vigenti consente all’armadio intelligente di sostituire la dispensazione del farmaco da parte di un professionista, atto che si compone di diverse fasi, quali:

  • la spedizione della ricetta;
  • la individuazione/selezione del medicinale;
  • la verifica finale dell’integrità dello stesso;
  • il dialogo con il cliente;
  • la consegna finale del prodotto.

La richiesta di chiarimento sull’home delivery

Le reazioni a questa presa di posizione sono documentate sempre con puntualità dalla stampa di settore e in particolare da Pharmacy Scanner. La risposta del Ministero rende plastica la ricaduta sull’altra pratica che scorpora il momento della dispensazione da quello della consegna, ovvero il servizio di recapito a domicilio, affidato a un corriere sconosciuto sia al destinatario sia al farmacista e spesso selezionato tramite una APP, noto anche come home delivery.

Anche su questo argomento Federfarma «nell’ambito dell’attività di collaborazione e approfondimento […] ha segnalato al Ministero l’esistenza di piattaforme on line o di APP che svolgono attività di intermediazione tra paziente e farmacie per la consegna a domicilio del farmaco».

Il dubbio riguarda la conformità con il  D.lgs 17/2014 e la circolare del Ministero datata 10 maggio 2015 che consente ad APP e piattaforme di consegnare farmaci che non recano né il bollino né l’autorizzazione regionale previsti per la vendita online dei farmaci con prescrizione ai siti web delle farmacie che vendono online medicinali senza ricetta.

Sulla vendita online di farmaci nel nostro paese leggi anche:

La segnalazione, conclude la circolare dell’associazione, chiede al Ministero l’adozione di uno strumento normativo specifico che regolamenti espressamente la fattispecie di consegna a domicilio dei farmaci, in modo da dare certezza giuridica agli operatori e sicurezza ai pazienti.

Non un no secco dunque, ma una richiesta di certezza normativa a cui hanno aderito anche i player più in vista di questo settore, come Maurizio Campia, AD di Pharmercure, che gestisce una APP di home delivery, la cui opinione è riportata in questa intervista su Pharmaretail.

Le criticità e l’inarrestabile progresso nella distribuzione di dettaglio dei farmaci

Le criticità rilevate dai commentatori si fermano alla coerenza di queste pratiche con il dettato di una legge scritta, per quanto in epoca tutto sommato recente, comunque in tempi nei quali certe novità e certe tecnologie erano ancora molto al di là da venire.

Il mercato della distribuzione farmaceutica è caratterizzato da una regolamentazione a dir poco ipertrofica, che lascia però vuoti normativi, destinati ad essere riempiti dalla realtà e dalla fantasia portata dall’innovazione.

Il faro del legislatore deve essere sempre quello della tutela del pubblico interesse, ogni innovazione che faciliti il reperimento delle cure deve essere valutato attentamente, tocca agli operatori e a tutta la filiera organizzare il cambiamento in modo efficiente.

L’emergenza pandemica ha autorizzato a sbizzarrirsi nella ricerca di soluzioni che evitassero il contatto tra le persone, ma salvaguardassero la sicurezza degli scambi, niente di strano che ora, che l’emergenza è alle spalle, le soluzioni più brillanti cerchino il loro spazio anche nella quotidianità ritrovata.

L’auspicio è che il legislatore tenga nella dovuta considerazione tutti gli aspetti collegati con la consegna (in questo caso intesa in modo capillare) dei farmaci, che richiede, a monte di questo “ultimo metro” notevoli investimenti in strutture e know-how a tutti gli altri player del settore.

 

A cura di Samuele Barillà