Il direct-to-pharmacy e la convenienza (solo apparente) per le famacie

#direct-to-pharmacy

La pandemia ha lasciato strascichi pesanti sulle nostre vite e ha condizionato interi mercati, primo fra tutti quello sanitario e farmaceutico.

I cambiamenti che l’emergenza ha imposto si associano alle ricadute più pesanti, frutto di scelte politiche passate che, come la ormai cronica carenza di medici e personale sanitario, tengono il comparto in un continuo stato di stress.

 

La distribuzione schiacciata tra case farmaceutiche e vendita diretta

La concorrenza di fatti noti e meno noti, visibili e meno visibili sta producendo conseguenze destinate a segnare l’intera filiera e in particolare la tenuta del comparto della distribuzione.

Grossisti, distributori intermedi e, con loro gli stessi vettori, pagano più di altri le conseguenze di scelte sbagliate e di crisi più o meno fisiologiche, come quella energetica, che ha elevato significativamente i costi della logistica.

 

L’arrivo della FMD, la crisi energetica e non solo richiedono investimenti da parte dei distributori

Prepararsi a nuove modalità di tracciamento e contrastare la concorrenza di altri player significa investire in tecnologia e nel potenziamento di tutta la struttura in un momento in cui i margini si riducono e il mercato assiste a oggi fenomeni articolati e complessi come:

l’ingresso dei grandi gruppi (catene) nel mercato;

la vendita di farmaci nella GDO (grande distribuzione organizzata);

l’aumento delle vendite di farmaci online;

– l’aumento del fenomeno del direct-to-pharmacy, cioé la vendita diretta da produttori a farmacie.

Su questo ultimo punto, in particolare, si concentra il dibattito degli ultimi giorni.

 

I numeri del direct-to-pharmacy sono in crescita, non lo è il guadagno

La pubblicazione del White Paper  del Consorzio Dafne  «Logistica Distributiva Healthcare, Il focus sui flussi della Distribuzione Primaria», fornisce dati importanti che evidenziano l’aumento della mole di traffico di farmaci dalle case produttrici alle farmacie, a scapito di quello inviato dai grossisti e distributori (ordini a video e transfer order), che sono in calo significativo.

La crescita del volume del traffico diretto, in gergo “direct-to-pharmacy”, arriva al 30% e questo dato impensierisce la distribuzione intermedia. I dati sono confermati anche da Iqvia, come riporta la stampa di settore.

I farmacisti che hanno cominciato ad acquistare direttamente dalle case produttrici durante la pandemia, hanno la sensazione che l’aumento di marginalità dovuto alla disintermediazione, realizzi per loro un vantaggio duraturo, destinato a tradursi in aumento di utile.

Come però gli osservatori più attenti notano (tra questi la prof. Mallarini intervistata da Pharmacy Scanner), questo vantaggio è solo apparente e destinato a sgonfiarsi ben presto.

 

La convenienza solo apparente delle forniture direct-to-pharmacy

La questione è da una parte strettamente economico/finanziaria e dall’altra ha rilievi strategici per le ricadute sulla gestione interna alla farmacia e sull’impoverimento della filiera.

Il farmacista che si approvvigiona direttamente dalle case farmaceutiche aggrava la propria gestione interna dovendo interloquire con un numero maggiore di fornitori.

Deve anche valutare il margine in termini di capacità di gestione delle giacenze e dei flussi di rivendita, con il risultato che rischia di impiegare complessivamente maggiori fondi, anche se il margine sulla singola confezione appare più conveniente. Il costo indiretto di stoccaggio, sulle grandi quantità, anche per compensare e prevenire le carenze grava ora sulla filiera e lascia sostanzialmente indenni farmacisti e consumatori finali. Non è così nel caso di approvvigionamento diretto.

L’acquisto diretto, nel medio lungo periodo implica inoltre, per il farmacista, l’onere di soggiacere alle scelte di marketing del produttore che avrà mano libera nel proporre formule, abbinamenti, quantitativi a suo piacimento.

Se i distributori dovessero soccombere, inoltre, le farmacie indipendenti e, tra queste soprattutto quelle rurali, resterebbero senza fornitori e subirebbero un danno economico diretto incalcolabile, per non parlare del riflesso pesantissimo sulla efficienza dell’intero sistema a carico dei pazienti / utenti finali.

La crescita del mercato degli equivalenti è, a sua volta, direttamente legata alla capacità dei grossisti e dei distributori di gestire magazzini, carenze, stoccaggi e capillarità della distribuzione. Al singolo farmacista, come alla catena di farmacie, non è dato grande margine di manovra in questo senso.

Durante il biennio pandemico, per fare fronte all’emergenza, era stato consentito alle farmacie di fare ordini di scarsa entità. Con il ritorno alla “normalità” le case farmaceutiche ricominciano ad alzare le soglie degli ordini minimi con gravi riflessi sulla esposizione finanziaria degli acquirenti.

Non tutti i farmacisti possono avere spalle abbastanza larghe da sopportarne le conseguenze e anche per questa ragione dovrebbero approcciare con prudenza la scelta di disintermediare l’approvigionamento.

Se le catene aprono i propri magazzini i distributori dei farmaci devono preoccuparsi?

Da quando c’è stata la liberalizzazione del capitale nel mercato delle farmacie nel 2017, ad opera della Legge 124/2017 ,  i player del mercato della distribuzione dei farmaci italiani hanno avviato operazioni di acquisizione di shares nelle farmacie con l’intenzione di integrare il proprio mercato.

L’operazione, non peregrina, ha dato risultati ma non ha avuto gli effetti dirompenti che ci si aspettava, anche per la flemma con la quale il piano è stato posto in essere.

Lo scenario ora sembra poter cambiare velocemente, grazie al “sorpasso” che le grandi catene potrebbero realizzare.

Le catene di farmacie aprono magazzini di distribuzione dei farmaci

È di pochi giorni fa la notizia, pubblicata dalla testata Pharmacyscanner , che il gruppo Hippocrates stia aprendo un magazzino per la distribuzione di 10 mila metri quadrati.

La dimensione non spaventa, si tratta di una stazza perfettamente in media nel settore, quanto piuttosto la strategia che potrebbe sottendere.

Due domande sorgono spontanee:

  • i grandi gruppi sono stati forse sottovalutati ed hanno intenzione di entrare nel mercato della distribuzione?
  • se si preoccupano loro di rifornire le farmacie di proprietà o aderenti al network, allora i distributori saranno esclusi da questo mercato?

Va da sé che, per quanto rapida ed efficace, una politica di espansione dei gruppi nel settore della distribuzione, non sarà – di per sé sola- in grado di tagliare fuori i distributori dal mercato in riferimento ai punti vendita delle farmacie aderenti al network o di proprietà del gruppo stesso. Si stima che le farmacie si possano approvvigionare da circa quattro distributori, per ragioni diverse che hanno a che fare con le complesse variabili di questo settore:

  • disponibilità del farmaco;
  • distribuzione territoriale delle farmacie;
  • appartenenza dei farmaci a diverse categorie;
  • e altro ancora.

Resta il fatto che la filiera e in particolare i distributori indipendenti dovrebbero preoccuparsi di questo scenario.

 

Il fenomeno in numeri

I numeri riportati nell’articolo citato sono importanti, se valutati nel loro complesso e riguardano una distribuzione territoriale diffusa e capillare, in grado di modificare, e non di poco, l’attuale realtà della catena distributiva: «Le catene di proprietà, in particolare, annoverano il 6,5% delle 19.500 farmacie esistenti in Italia, le reti dei farmacisti indipendenti invece mettono assieme l’11% degli esercizi in attività» (fonte Pharmacy scanner)

Dalla velocità dello sviluppo di questa modalità dipenderanno quindi le scelte operate da una fetta del mercato delle farmacie, tutte quelle aderenti a network o di proprietà dei gruppi.

Meglio per i distributori che vogliano consolidare le loro posizioni di leader, correre ai ripari e rivalutare la sottovalutazione del fenomeno.

 

Samuele Barillà, avvocato

La ricetta elettronica o dematerializzata, sfida ed opportunità

Il 3 aprile scorso, come riportato da alcuni organi di stampa locali, la Liguria ha messo al bando la ricetta cartacea e ha dato il via alla definitiva entrata in scena della ricetta elettronica o dematerializzata.

La ricetta elettronica è disciplinata nel nostro Paese dal Decreto interminesteriale del 2 novembre 2011. Ha oramai raggiunto una vasta diffusione poiché consente l’accesso facilitato dei cittadini alle prestazioni farmaceutiche e ambulatoriali del Servizio sanitario nazionale. Le regioni hanno aderito progressivamente e attuato l’implementazione in modo graduale alla transizione e all’abbandono del cartaceo.

 

Le caratteristiche della ricetta elettronica o dematerializzata

La ricetta medica dematerializzata è un documento che contiene tutte le informazioni relative alla prescrizione di un farmaco o di una prestazione sanitaria che viene trasmesso in forma telematica direttamente alla farmacia o alla struttura sanitaria di riferimento.

L’obiettivo della ricetta elettronica è quello di semplificare la gestione delle prescrizioni e di garantire maggiore sicurezza e tracciabilità dei farmaci e delle prestazioni sanitarie prescritte, oltre alla circolarità delle prescrizioni farmaceutiche in regime convenzionale sull’intero territorio nazionale.

Secondo il Ministero della Salute: «La digitalizzazione delle prestazioni erogabili dal Servizio sanitario nazionale consente anche di attivare strumenti di controllo, sia in termini di verifiche preventive all’erogazione che di rendicontazione da parte degli stessi erogatori».

Consente inoltre di ridurre il rischio di errori e di aumentare la generale efficienza del sistema.

In sintesi i vantaggi della ricetta dematerializzata sono:

  • semplificazione
  • circolarità
  • risparmio di tempo
  • risparmio di carta
  • riduzione degli errori
  • verifica preventiva
  • automatismi nella rendicontazione.

Vantaggi per gli utenti e per i distributori di farmaci

Nonostante i vantaggi offerti dalla ricetta elettronica, la sua implementazione ha comportato alcune difficoltà, soprattutto per i medici e per i farmacisti che dovevano adattarsi a nuovi strumenti e procedure.

Inoltre, in alcune aree del paese, soprattutto in quelle meno sviluppate dal punto di vista tecnologico, si sono registrati problemi di connessione e di accesso alla rete internet, che hanno reso più difficoltosa la gestione delle prescrizioni.

In ogni caso, la ricetta elettronica o dematerializzata rappresenta un importante passo in avanti per il sistema sanitario italiano, che si sta gradualmente adeguando ai nuovi standard tecnologici e organizzativi richiesti dalla digitalizzazione dei processi sanitari e, si prevede che avrà un impatto molto positivo in termini di risparmio e riduzione di danni per l’ambiente. Tenendo conto dei numeri stimati, nella sola Liguria si sono contate nel 2022 più di 100 mila unità giornaliere.

La circolarità delle prescrizioni farmaceutiche grazie alla ricetta elettronica sembra in grado di avere un impatto finale, anche questo positivo, sui flussi finanziari dei distributori di farmaci.

Il Ministero riporta testualmente che: «la ricetta elettronica ha consentito, tra l’altro, di assicurare la circolarità delle prescrizioni farmaceutiche in regime convenzionale sull’intero territorio nazionale: un cittadino può recarsi in una farmacia di altra regione e ad avere diritto all’erogazione dei farmaci».

Questo significa che l’utente potrà avere la ricetta dal proprio medico e richiedere il farmaco in un’altra regione, alimentando, così indirettamente il lavoro dei distributori e i flussi finanziari che saranno stimolati dalla maggiore facilità di circolazione delle prescrizioni.

Avvocato Samuele Barillà

Il deblistering veterinario e umano alla prova dei fatti

La bozza di Decreto legislativo diramata dal Ministero della Salute alle Associazioni di categoria prevede, in attuazione del Regolamento Ue 2019/6, la possibilità per i farmacisti di confezionare direttamente i medicinali veterinari nella quantità più aderenti al piano terapeutico indicato dal veterinario curante.

L’intento della norma è di ridurre sprechi e inquinamento. Il regolamento autorizza il farmacista ad aprire le scatole di medicinali e a consegnare al paziente soltanto quelli necessari per la terapia. Naturalmente dovrà essere inserito il bugiardino in ogni confezione e questo dovrà  essere fornito dal produttore.

Questo nuovo tipo di confezionamento costringerà probabilmente a richiedere una nuova AIC (autorizzazione di immissione in commercio), il che implica certamente un aggravio di costi per il produttore, come osserva (in una intervista a Pharmacy Scanner), il direttore di Aisa-Federchimica, associazione che rappresenta i produttori di farmaci veterinari.

Il punto pare proprio essere la produzione dei foglietti illustrativi in numero sufficiente, è auspicabile che si trovi una soluzione di buon senso.

Il deblistering per i medicinali di uso umano 

Per i medicinali di consumo umano, sono già avviate le esperienze lombarda, veneta ed emiliana. La Lombardia ha adottato linee guida molto dettagliate, lo scorso luglio anche il Lazio ha avviato il percorso e la Liguria pare intenzionata ad aprire un tavolo di lavoro per elaborare un modello operativo (fonte Farmacista 33).

Sull’esempio di quanto avviene in altri paesi, i farmacisti hanno e avranno sempre più la possibilità di confezionare, direttamente nei propri locali, i farmaci prescritti dal medico curante, nella quantità prevista dal piano terapeutico del paziente per un determinato periodo, seguendo scrupolosamente una serie di prescrizioni.

Questa novità presenta indubbi vantaggi:

  • per i pazienti, che riceverebbero esattamente i farmaci di cui hanno bisogno;
  • per l’ambiente, perché i farmaci eccedenti non verrebbero dispersi nell’ambiente.
  • Gli antecedenti legali che consentono alle regioni di adottare una propria disciplina sono numerosi, ma i più significativi sono:
  • la sentenza del Consiglio di Stato (n. 4257/2015 del 14/09/2015), che si è pronunciato favorevolmente sulla possibilità di aprire le confezioni dei medicinali per utilizzarli nei preparati magistrali per casi particolari e permettere al farmacista di sopperire a carenza di materia prima o alla necessita di rendere disponibili medicamenti in forme e dosaggi orfani.
  • La legge di bilancio 2020  che, al comma 462 dell’articolo 1, ha definito la possibilità di «accesso personalizzato ai farmaci», come una modalità attuativa del piano nazionale della cronicità oggetto dell’intesa del 15  settembre  2016  della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province autonome di Trento e di Bolzano.

Le criticità che può incontrare il deblistering

L’opportunità di arrivare al deblistering già sperimentato con successo in numerosi altri paesi, presenta alcune incertezze, non tanto e non solo normative, ma che riguardano profili di sicurezza e logistico-operativi legati alle diverse esigenze che avranno i farmacisti.

Solo per citarne alcune: serviranno scatole più grandi, bugiardini in numero sufficiente da inserire in ogni confezione, norme chiare sulla sicurezza degli ambienti di stoccaggio, controlli sulle scadenze, e molto altro ancora.

Molte di queste novità avranno un diretto impatto sull’aumento dei costi che graveranno sulla filiera produttiva e di distribuzione e finiranno per pesare sul paziente e consumatore finale.

Per non parlare delle questioni, che meritano un approfondimento a parte, relative alla tracciabilità del farmaco, alla sua etichettatura e marcatura anticontraffazione e via dicendo.

Il deblistering è un argomento discusso da molto tempo, tra gli operatori, ma mancano le modalità operative nazionali.

Le criticità più significative e di soluzione incerta sono quelle che riguardano l’armonizzazione delle norme.

Le esperienze regionali consentono di valutare alcuni impatti del fenomeno, ma una proliferazione di norme non coordinate e diverse da regione a regione, non sembra la soluzione più razionale in attesa della entrata in vigore, anche in Italia della Falsified Medicine Directive 2011/62 EU.

È evidente che l’adozione di norme operative per il deblistering non coordinate a livello nazionale influenzerebbero, come è facile immaginare, tanto l’industria di produzione dei farmaci, tanto la supply chain, in un momento, come questo, in cui ancora non è chiara quale sarà la strada tecnica che verrà imboccata per l’adesione alla normativa europea di contrasto alla contraffazione che impongono standard ancora più severi di tracciabilità e standardizzazione.

Dopo l’esperienza della pandemia, non sembra questo lo snodo sul quale testare una autonomia regionale che finirebbe per proliferare fattispecie di conflitto ora inimmaginabili. Più che mai si sente il bisogno (e si auspica), l’adozione di un protocollo quadro nazionale a cui le regioni aderiscano che consenta l’armonizzazione delle norme, a tutela della chiarezza e della certezza del diritto.