La definizione del rapporto tra il sistema sanitario nazionale e le farmacie ha generato diversi problemi, tra l’altro sul calcolo degli interessi moratori in caso di ritardato pagamento.
Sono numerosi i contenziosi sorti tra Aziende Sanitarie Locali / Servizio Sanitario Nazionale e farmacie a causa dei ritardi nei pagamenti che sono giunti fino a investire, dopo le autorità giudiziarie amministrative, anche la Corte di Cassazione. La questione è stata infine chiarita dalla Corte di Giustizia Europea.
Alla base dei contrasti sfociati nelle liti c’è la qualificazione dei rapporti tra ASL e farmacie come convenzioni, basate sugli accordi collettivi, o transazioni commerciali, basate su contratti di natura privatistica.
Da questa definizione, infatti, discende la non banale riconoscibilità degli interessi al tasso legale o al superiore tasso commerciale, in caso di ritardo nei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione.
Numerose sentenze successive sia della Giustizia amministrativa che della Corte di Cassazione si sono espresse riconoscendo alle farmacie gli interessi al solo tasso legale, basando la decisione sulla definizione della natura convenzionale del rapporto che intercorre tra farmacie e ASL/SSN.
Questo rapporto è stato considerato speciale rispetto alla disciplina generale che riguarda le transazioni commerciali in cui in cui il debitore sia una Pubblica Amministrazione.
La materia ha investito a livello politico l’Unione Europea che l’ha affrontata in termini generali come uno strumento di lotta alle iniquità esistenti, nei diversi paesi tra privati e PA tra cui si svolgano transazioni commerciali.
Il settore è disciplinato a livello europeo, due direttive comunitarie: la 2000/35/CE e la 2011/7/UE, entrambe riferite esplicitamente alla «lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali».
Le direttive sono state recepite nel nostro Paese, rispettivamente nel 2002 e nel 2012.
Con questa disciplina si prevede la corresponsione di interessi di mora molto più elevati, rispetto al tasso legale, in favore dei privati (tra cui i farmacisti), che subiscano un ritardo nei pagamenti da parte della P.A. (quale il servizio sanitario pubblico).
Vista la ritrosia delle Corti nazionali nell’applicare correttamente la disciplina, la questione è stata posta alla Corte di Giustizia Europea che si è espressa con la Sentenza del 28 gennaio del 2020 nella Causa C-122/18che ha imposto agli Stati membri l’obbligo di assicurare un termine di pagamento delle pubbliche amministrazioni non superiore a 30 o 60 giorni e il corrispondente dovere di tutelare il creditore anche versando interessi moratori a un tasso maggiore di quello legale.
La Corte si è espressa con parole inequivocabili: «I ritardi di pagamento costituiscono una violazione contrattuale resa finanziariamente attraente per i debitori nella maggior parte degli Stati membri dai bassi livelli dei tassi degli interessi di mora applicati o dalla loro assenza e/o dalla lentezza delle procedure di recupero. È necessario un passaggio deciso verso una cultura dei pagamenti rapidi, in cui, tra l’altro, l’esclusione del diritto di applicare interessi di mora sia sempre considerata una clausola o prassi contrattuale gravemente iniqua, per invertire tale tendenza e per disincentivare i ritardi di pagamento. Tale passaggio dovrebbe inoltre includere l’introduzione di disposizioni specifiche sui periodi di pagamento e sul risarcimento dei creditori per le spese sostenute e prevedere, tra l’altro, che l’esclusione del diritto al risarcimento dei costi di recupero sia presunta essere gravemente iniqua».
L’Italia è stata sottoposta a procedura di sanzione per non aver adeguato le convenzioni intercorrenti tra farmacie e Aziende Sanitarie alla disciplina introdotta nel 2011 dalla seconda delle direttive menzionate.
La questione è stata presa nuovamente in esame dalla suprema corte nel 2020 Con la pronuncia delle sezioni unite n. 26496 del 20 novembre 2020.
Nel caso esaminato veniva richiesto il pagamento di interessi al tasso commerciale per un ritardo nel rimborso di farmaci di classe A dispensati dalla farmacia.
La Corte ha enunciato questo principio di diritto:
«qualora la pubblica amministrazione competente […] abbia tardivamente corrisposto al farmacista la seconda quota di ristoro relativa alla dispensazione dei farmaci di classe A, sulla relativa somma sono dovuti gli interessi all’ordinario tasso legale, non essendo applicabili gli interessi moratori di cui all’articolo 5 del d.lgs. n. 231 del 2002, in quanto limitatamente a tale dispensazione il farmacista è componente del servizio sanitario nazionale».
A questo principio la Suprema Corte è giunta attraverso due passaggi logici molto importanti:
1. tra farmacia e servizio sanitario non vige sempre e soltanto un rapporto negoziale tra privato imprenditore e pubblica amministrazione, che pure ha rango di norma di legge perché recepito e reso efficace da un Decreto del presidente della Repubblica;
2. quando il farmacista è oggetto di ristori dovuti alla dispensa azione dei farmaci di classe A non è un libero imprenditore, ma va qualificato come “componente del servizio sanitario nazionale”. Per questa ragione gli vanno corrisposti in caso di ritardati pagamenti i soli interessi di mora al tasso legale così come previsto dall’accordo collettivo.